Messina Denaro voleva riportare la pace con la forza «Sta in zona, pronto a scoppiare. E lì c’è un esercito»

Matteo Messina Denaro? È come una ruota troppo gonfia e, per questo, pronta a scoppiare. La metafora è di Nicolò Sfraga, uno dei 14 arrestati nell’operazione Visir, che oggi ha inferto un altro colpo alla rete di fiancheggiatori del superlatitante di Castelvetrano. Sfraga, finora mai toccato da operazioni antimafia, sarebbe il braccio destro di Vincenzo Rallo, vertice della famiglia mafiosa di Marsala, e avrebbe guidato una delle fazioni nate all’interno della cosca, al pari di Vincenzo D’Aguanno. Tra i due, però, ci sarebbe stata una differenza importante: il primo avrebbe avuto modo di confrontarsi direttamente con il capo di Cosa nostra. 

A raccontarlo, a inizio gennaio 2015, è lui stesso. «Si trova in zona», dice Sfraga nel corso di una conversazione intercettata dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani. «Ho avuto modo di conoscerlo qualche paio di volte», continua, vantando i contatti diretti con il boss latitante. Secondo gli inquirenti, l’uomo era andato da D’Aguanno per comunicare alcune decisioni provenienti dall’alto, affermando così il privilegio ricevuto. «Era nero come quella borsa là», assicura. Prima di mettere in guardia D’Aguanno da possibili colpi di scena, con Messina Denaro che sarebbe stato pronto a fare sentire la propria presenza in maniera inequivocabile. «Quando tu gonfi una ruota, a momenti scoppia e tu ti guardi perché sai che a momenti scoppia», sottolinea. La potenza del boss di Castelvetrano, tra l’altro, non sarebbe da sottovalutare. «Enzo mio, lì c’è un esercito – specifica Sfraga a D’Aguanno, riferendosi proprio a Messina Denaro -. Cosa c’è di dietro tu neanche ne hai l’idea. A tutti questi, appena dice facciamo un fosso e riempiamolo, a due secondi, a due secondi», sottolinea, per alludere alla fedeltà e alla disponibilità degli uomini del latitante.

Nel corso dell’incontro, Sfraga – in qualità di portavoce dei vertici di Cosa nostra – fa chiarezza sui dissidi che D’Aguanno aveva in quel momento con Ignazio Lombardo, luogotenente del boss Antonino Bonafede, e con Michele Giacalone, in merito a dei lavori edili che sarebbero stati realizzati in contrada Paolini a Marsala. Nervosismi che a Messina Denaro, come detto, non sarebbero andati giù. «Queste criticità erano state lette dal latitante come unulteriore possibile minaccia per l’intera associazione, già gravemente colpita da indagini che avevano portato all’arresto di esponenti della famiglia di Castelvetrano», scrivono gli investigatori, facendo riferimento ai fermi della sorella del boss Anna Patrizia e ai nipoti Francesco Guttadauro e Luca Bellomo, tutti destinatari di provvedimenti di custodia cautelari nelle operazioni Eden I ed Eden II.

A detta di Sfraga, Messina Denaro sarebbe stato pronto a risolvere ogni questione con la violenza, ma era stato riportato alla calma da altri boss. «Era stato ricondotto a più miti consigli da non meglio indicati decani del sodalizio criminale che lo avevano portato a emanare una direttiva che prevedeva un vero e proprio congelamento dei dissidi in atto», ricostruiscono i carabinieri.

Simone Olivelli

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