Nella relazione della Direzione investigativa antimafia si ribadisce il ruolo del latitante come rappresentante provinciale, ma secondo i massimi investigatori rimarrebbe un incarico formale. Sul territorio, in ogni caso, è la sua famiglia a comandare
Messina Denaro, un capo rimasto sulla carta? La Dia: «Cosa Nostra trapanese gli è fedele»
La provincia di Trapani continua ad essere nella morsa di Cosa Nostra che monopolizza la gestione delle più remunerative attività illegali e condiziona il contesto socio economico dell’intero territorio provinciale. È quanto emerge dalla relazione semestrale della Dia che dedica ampio spazio al ruolo del boss latitante Matteo Messina Denaro. Per gli investigatori, il latitante castelvetranese, nonostante le numerose operazioni che hanno portato all’arresto di fedeli e fedelissimi, continua a mantenere il duplice ruolo di capo del mandamento di Castelvetrano e di rappresentante provinciale di Cosa Nostra. Un ruolo però che, stando alle recenti dichiarazioni dei massimi investigatori, sarebbe sempre più formale.
Una leadership messa in dubbio, però, dalle parole del questore di Palermo Renato Cortese che, nel corso di un’intervista rilasciata al Sole 24 ore online aveva descritto Messina Denaro come «un soggetto che probabilmente non ha più alcun ruolo nell’organizzazione e che quindi è defilato, non lascia tracce, non partecipa alle riunioni, non ha strategie criminali, gli affiliati non rendono conto a lui. È un soggetto che si sta facendo la sua latitanza probabilmente anche fuori dalla Sicilia».
Lo stesso generale Giuseppe Governale, numero uno della Dia, indicando il 2019 come l’anno della cattura del boss, ha sottolineato come Messina Denaro pur rimanendo a capo della cosca trapanese non sarebbe più operativo da tempo. Il superlatitante ha trovato spazio anche nella relazione sull’amministrazione della giustizia nel 2018 del presidente della Corte d’Appello di Palermo, Matteo Frasca, che ha competenza anche sul distretto di Trapani. «Si può ragionevolmente escludere una interferenza del noto latitante Messina Denaro Matteo nelle dinamiche associative dei mandamenti palermitani», ha sottolineato Frasca, ponendo un altro tassello nella tesi, ormai prevalente tra investigatori e inquirenti, che vuole un Matteo Messina Denaro sempre più estraneo alle decisioni di Cosa Nostra sul territorio.
Allo stesso tempo però, secondo la relazione semestrale della Dia, il potere della sua famiglia rimane intatto così come emerso dalle diverse operazioni messe a segno da polizia e carabinieri, come Pionica e Anno zero, che hanno portato all’arresto di due cognati di Messina Denaro, del capo mandamento di Mazara del Vallo e quello della famiglia di Partanna, nonché un imprenditore di Castelvetrano operante nel settore dei giochi on-line. Nel medesimo contesto operativo sono state sottoposte a sequestro preventivo cinque imprese, con sede a Castelvetrano, del valore di oltre 200mila euro. Le indagini hanno anche rivelato l’esistenza, in seno al mandamento di Castelvetrano, di accese interlocuzioni per la spartizione dei proventi illeciti, tra esponenti della famiglia di Campobello di Mazara e quella di Castelvetrano, per dirimere le quali si sarebbe resa necessaria la forte presa di posizione del cognato di Matteo Messina Denaro.
Particolare attenzione all’omicidio di stampo mafioso della mattina del 6 luglio 2017, perché nel Trapanese da molto tempo Cosa Nostra non uccideva. Mentre si trovava nel suo podere in Contrada Bosco Vecchio, a Tre Fontane, veniva ucciso, in un agguato tipicamente mafioso, Giuseppe Marcianò, genero del noto esponente mafioso di Mazara del Vallo, Pino Burzotta, e all’epoca sottoposto ad indagini in quanto indiziato di far parte della famiglia di Campobello di Mazara.
«Dalle indagini – si legge nella relazione – è emerso che la vittima era colui che, tra tutti i componenti della famiglia di Campobello di Mazara, aveva manifestato maggiori critiche e perplessità sul comportamento del cognato del latitante, vertice pro tempore del mandamento di Castelvetrano. Nell’ambito delle attività è stata registrata l’ascesa, non priva di contrasti, del capo del mandamento di Mazara del Vallo, così come sono stati evidenziati gli attriti tra i diversi mandamenti per la gestione mafiosa del parco eolico di Mazara, in corso di realizzazione. Grazie all’indagine Anno Zero – conclude il documento – è stato dimostrato come il latitante castelvetranese sia ancora oggi l’unico soggetto a cui è necessario rivolgersi per dirimere controversie interne al sodalizio mafioso. Lo stesso, al fine di assicurarsi il costante controllo delle attività illecite e dei relativi proventi, sembra ancora prediligere appartenenti alla propria cerchia familiare, o comunque persone a lui vicine, nei ruoli di vertice dell’organizzazione mafiosa. È, quindi, ancora confermata la fedeltà dei membri dell’organizzazione nei confronti del citato latitante».