Nelle carte dell'indagine che ha portato all'arresto di Matteo Di Martino e Pietro Di Pietro viene descritto il clima in cui sarebbero stati costretti a operare gli autotrasportatori che arrivavano nel centro del Ragusano. Un timore che sarebbe derivato, secondo diversi pentiti, dalla vicinanza a Cosa nostra e Stidda
Mercato di Vittoria, il pizzo pagato in silenzio «Io glielo avvolgo nel pacco delle salviettine»
Babà e ciociò che non solo andavano pagati, ma pure in silenzio. Senza dare nell’occhio, per evitare occhi indiscreti e – perché no – anche per una questione di stile. Questo il quadro che emerge dalle carte dell’ordinanza che ha portato all’arresto di Matteo Di Martino, detto Salvatore, e del cognato Pietro Di Pietro. I due vertici della società di intermediazione Sud Express srl, attiva a ridosso del mercato ortofrutticolo di Vittoria, finiti in carcere con l’accusa di estorsione – aggravata dal metodo mafioso – ai danni degli autotrasportatori che arrivavano nella città del Ragusano per caricare e scaricare la merce.
Oboli che andavano generalmente dai 50 ai 100 euro a mezzo, ma che potevano anche aumentare, senza che le vittime opponessero più di tanta resistenza. E questo non perché venissero minacciati direttamente con mezzi mafiosi, ma perché – più in generale – coscienti che al mercato di Vittoria andava così. Pena ritorsioni di natura economica: dalla merce di bassa qualità ai ritardi nelle operazioni di carico e scarico.
«Ma che stai dicendo? Io non mi prendo niente da nessuno. Ma come ti permetti», avrebbe detto Di Pietro a una delle vittime, colpevole di avergli chiesto pubblicamente se anche un altro collega pagava 50 euro. Al rimprovero sarebbe seguita poi la promessa di danni futuri: «Non ti preoccupare, la prossima volta te lo faccio pieno pieno il camion», avrebbe aggiunto. In realtà, però, a pagare al mercato di Vittoria sarebbero stati pressoché tutti. Ma non solo: non mancano i casi in cui oltre al denaro ci sarebbe stata anche la necessità di attirarsi la clemenza di Di Pietro. «Va bene o ti devo dare qualche altra cosa? – avrebbe chiesto una vittima -. Non voglio che ti devi prendere collera tu, a me piace che tu devi essere contento».
E così per pagare il pizzo mantenendo il riserbo preteso da Di Pietro, c’è chi aveva escogitato tecniche originali. «Io con Pietro non mi vedo mai per dargli la mazzetta. Io vado nel bagno, glieli lascio nel bagno», racconta un autotrasportatore a un collega. Che a sua volta replica: «Il pacco di salviettina di carta, lo sai? Lì glielo avvolgo – spiega -. Davanti alla gente glielo do, soffiati il naso moccioso, gli butto il pacco di salviettine in faccia».
Il timore reverenziale nei confronti di Di Martino e soprattutto di Di Pietro, che pur essendo il braccio destro del primo sarebbe stato anche colui che in prima persona andava a riscuotere le mazzette, sarebbe derivato anche dalla presunta vicinanza dei due alla criminalità organizzata. Come dichiarato dal collaboratore di giustizia Carmelo Barbieri, già proprietario di un box proprio al mercato di Vittoria. «A Gela e Vittoria ci sono agenzie che hanno il monopolio grazie alla sponsorizzazione di Cosa nostra e Stidda», racconta nel 2015 ai magistrati. A parlare della Stidda è anche il pentito Giuseppe Dolio: «I Di Martino sono la cupola dei camion che girano nel mercato di Vittoria. Vicini ai Carbonaro e a Franco Sacco, il figlioccio di Carmelo Dominante», ricostruisce.
Rapporti che, secondo gli inquirenti, avrebbero riguardato pure il clan camorristico dei Casalesi, attraverso i rapporti con la ditta La Paganese Trasporti – ritenuta vicina al gruppo guidato dagli Schiavone – anche se dalle indagini emerge che anch’essa avrebbe pagato dazio, con vittime del pizzo i fratelli Domenico e Raffaele Menna. I due, tuttavia, sono stati indagati dalla Procura di Catania in quanto ritenuti intermediari per l’estorsione a due autotrasportatori. Accusa che però al vaglio della giudice per le indagini preliminari, Giuliana Sammartino, non ha retto, portando al rigetto della richiesta della misura cautelare.
Come detto, il rifiuto di pagare non sarebbe sconfinato in minacce dirette. Ma a voler evitare di far innervosire Di Pietro e Di Martino erano tutti. Il perché lo spiega una delle vittime. «Non è che non carichi, ti dà l’immondizia, ti mette in condizione che te ne devi andare – commenta parlando del modo di operare dei vertici della Sud Express srl – Tu calcola che chi carica sotto a lui sono tutti quelli che posano la mazzetta, solo uno non la posa e te ne accorgi che non la posa. Perché viene ucciso, non viene maltrattato, viene proprio ucciso (economicamente, ndr)».