Giuseppe Cinà, finito oggi in manette nell'ambito dell'operazione "Malati immaginari" prendeva la pensione da quando aveva 30 anni. È uno dei retroscena del blitz eseguito dai carabinieri del comando provinciale di Palermo e che ha portato all'esecuzione di 18 misure cautelari
Maxi truffa, falsi invalidi e finte badanti Il baby pensionato e il “tesoretto” da 230mila euro
Lui la pensione d’invalidità la prendeva da quando aveva 30 anni. Era un baby pensionato Giuseppe Cinà, 60 anni, pluripregiudicato, ritenuto dagli investigatori il capo dell’organizzazione sgominata dai carabinieri del Comando provinciale di Palermo, che hanno fatto luce su una maxi truffa da un milione e mezzo ai danni dell’Inps. Dal 1984 era riuscito a mettere da parte un vero tesoretto: 230mila euro. Adesso l’indennità gli è stata revocata, ma per anni avrebbe goduto del beneficio. «Lo Stato mi deve campare» diceva non pensando di essere intercettato dalle cimici degli investigatori nell’ambito dell’operazione “Malati immaginari”. «…non voglio lavorare più – spiegava al suo interlocutore -, e potevo lavorare… io non lo voglio, io, la pensione, lo Stato mi deve campare! Io il muratore facevo, facevo il barista…».
L’iter iniziava con alcuni certificati medici falsi e con le visite mediche. Le patologie diagnosticate erano per lo più disturbi del comportamento o psicopatologie. Malattie raffinatissime e difficili da diagnosticare al punto tale da trarre in inganno anche la commissione Inps. I documenti erano perfetti, ma in alcuni casi le patologie venivano documentate anche con evidenti errori di ortografia: «allucinazioni uditive a contenuto querulo manico». Per rendere la messinscena più credibile venivano ingaggiate anche false badanti, disposte ad assistere il paziente durante la visita medica dietro il compenso di 50 euro.
Tra queste c’era persino chi a sua volta riceveva il sussidio, come Silvana Giordano, finita ai domiciliari. Per ben due volte si è presentata davanti alla commissione. A distanza di poche settimane e riuscendo a non farsi riconoscere. Una volta portato a termine l’iter, Cinà poteva godersi il frutto del suo lavoro: i soldi degli arretrati, pari spesso a migliaia di euro, e in alcuni casi anche il 10% della pensione ottenuta in modo illecito.
«Siamo di fronte a un sistema ben congegnato – spiega Giuseppe De Riggi, comandante del Comando provinciale dei carabinieri – condito da malcostume. Ci siamo trovati di fronte ad una aggressione nei confronti del sistema pubblico, in cui le vittime sono i veri malati».