Maurizio De Luca, i mesi da sindaco e le dimissioni «Non si può delegare la salvezza a un uomo solo»

«Gli eventi non sono mai improvvisi, forse lo è la presa di coscienza, ma non è questo il caso». Non c’è nessuna traccia di amarezza nella voce di Maurizio De Luca. Mentre la maggior parte della gente se lo immagina, forse, in un angolo a rimuginare sugli ultimi accadimenti della sua vita professionale, lui al contrario palesa una serenità e una consapevolezza che fanno quasi invidia. «Ho attraversato dieci mesi di dialogo importante e tranquillo, ma bisogna vedere cosa si intende per dialogo». Dieci mesi che sono stati, nella sua vita, una parentesi di diversità, di sfida, di salto nel vuoto. Quelli durante i quali si è messo in gioco nei panni di sindaco, dopo una candidatura improvvisa e per certi versi rocambolesca e una vittoria schiacciante su un altro candidato che, al contrario suo, era fin troppo avvezzo a urne ed elezioni. Una sfida vinta, almeno in prima battuta, e raccolta subito proponendosi come la ventata di cambiamento che Partinico, città complessa e per niente facile, chiedeva da tempo. Ma dopo nemmeno un anno, ecco la decisione che spiazza tutti, le dimissioni, seguite da una lettera di venti pagine che si sforzano di raccogliere e restituire quei dieci mesi di lavoro solitario.

I più maliziosi hanno pensato che non avesse retto, che quanto sperimentato fino ad allora per un architetto prestato in un certo senso alla politica fosse stato troppo. Gli oppositori, poi, non hanno esitato a puntare il dito, oscillando dal “non aveva mai la maggioranza” a “le sue proposte non trovavano facile accoglimento”. L’isolamento, Maurizio De Luca, in effetti lo ha provato sulla sua pelle, durante questa esperienza. «Io avevo una necessità, che era quella della città, cioè di ristabilire i conti del Comune e insieme a questo dare una progettualità per un futuro diverso – spiega, entrando nel dettaglio -. Non mi sono soltanto limitato a dichiarare un dissesto, che era una cosa dovuta e una presa di coraggio politico, visto i dati economici di questo Comune». A un dissesto non si arriva all’improvviso, lo sa lui come chiunque altro. Nel caso di Partinico «ci sono dietro dieci anni e più di una certa gestione». L’impegno a cui è chiamato è quindi sin da subito enorme, serve il meglio che può offrire, che può inventarsi. E lui ci prova. «Nella vita bisogna scegliere cosa essere e qualunque cosa ci si trovi a fare, ci si deve comportare di conseguenza».

Quindi cosa è successo esattamente? Che ha provato ad adattarsi dentro a scarpe troppo strette? A sentire il racconto dei suoi dieci mesi, sembra di no. «C’è un pezzo di politica che usa la città come scudo umano, io non potevo permetterlo e ho lanciato un segnale, che è indicativo. Non mi sono dimesso perché mi dovevo candidare a qualche altro ruolo o competizione elettorale, mi sono dimesso all’inizio del mio mandato, ma io non sono stato eletto per mantenere una posizione politica o un potere. Qualche amico che mi incontra mi dice “mi dispiace”, ma non è a me che dispiace – rivela -, io non sono dispiaciuto per ciò che ho fatto. Certo, mi duole non aver potuto portare questo paese a un cambiamento vero, ma io non ho perso nessuna posizione, ho fatto il mio lavoro con grande determinazione e ne esco più forte sotto ogni punto di vista. Ho resistito a continue pressioni per quasi un anno, senza cedere di un passo». Non c’è, in lui, l’ombra della delusione. Anche perché inizialmente quella di candidarsi non era neppure un’idea che aveva in testa.

«Quella candidatura mi è stata proposta proprio perché io sono fuori dagli schemi, perché sono uno che non sta a certe beghe politiche e che la politica la faceva già sul campo sociale, perché sono e rimango cittadino – torna a dire -. Intanto, su 24 consiglieri si sono formati 18 gruppi consiliari, ognuno un partito a sé, significherà qualcosa? Si perde il contatto con la politica regionale, ma io, lo ripeto, non ho fatto un passo indietro». Lo ribadisce tradendo una punta d’orgoglio, mentre ripensa a quanto fatto o anche solo tentato nelle vesti di primo cittadino. «Io devo esempi – dice a un certo punto -. E queste dimissioni rientrano in questa categoria, malgrado qualcuno mi avrebbe voluto più in mezzo alla gente, ma non sono stato eletto per fare passerelle. In dieci mesi ho fatto cose che non si erano fatte nemmeno in dieci anni, ho avuto il coraggio politico e umano di dire che il Comune è fallito e non ho tirato a campare». Ma i problemi, in quel di Partinico, non sembrano essere stati solo bilanci e rendiconti inesistenti, un piano di riequilibrio dai contorni sempre più astratti, «la difficoltà cronica da parte del Comune di incassare i propri crediti». Non c’è solo quella «morte finanziaria» con cui fare i conti, per dirla con le sue parole. La crisi, secondo De Luca, è molto più profonda, qualcosa tanto di culturale quanto di sociale. Su uno sfondo di inefficienze e colpevoli omissioni.

Una sorta di devianza in virtù della quale, a suo dire, si sarebbero commessi troppi errori, con l’aggravante della reiterazione cieca. «È normale che per dieci anni si tengano dei servizi socio-assistenziali, e detta così so che appare umanamente corretto, che però non sono sostenibili? – domanda -. È normale che ci sia un asilo nido che funziona per circa undici bambini con diciotto insegnanti e che costa 800mila euro l’anno? E che questo si ripropone per dieci anni continuamente?». Ma è difficile proporre di chiudere quello che, al di là dei numeri, per tutti è solo un asilo nido senza dare l’impressione di sparare sulla croce rossa. E puntare il dito contro un simile pensiero è stato, in effetti, fin troppo facile. De Luca rimane convinto però che quei soldi si sarebbero potuti convertire in soluzioni differenti, affidandosi alle singole mamme o a scuole private a carico delle famiglie. «I miei provvedimenti sono corretti, io comincio a risparmiare, a tagliare sui rifiuti, porto un piano Srr che nessun consiglio precedente ha fatto», prosegue, tirando in ballo un altro argomento che ha segnato la sua sindacatura.

«Ma c’è, di fondo, sempre quella stortura folle: da un lato l’impresa che ci fornisce i mezzi, dall’altro c’è l’Ato che ci fornisce gli operai, con il Comune in mezzo senza capacità (forse) di controllare. Mi rendo subito conto che qualcosa non va e avvio un’indagine interna. Rescindo il contratto e faccio risparmiare al Comune 450mila euro e in più li butto fuori perché c’erano evidenti storture nella gestione contrattuale». De Luca da un lato taglia e dall’altro aumenta i servizi, portando i tombini puliti da 40 a 400, per fare un esempio. «Su 24 consiglieri alla prima seduta c’erano 18 assenti – continua -. Bisogna fare attenzione a come si vota, non si può delegare la salvezza a un uomo, non ce la fa da solo». Solitudine e isolamento sono le condizioni che, nella sua esperienza, hanno giocato un ruolo da protagonisti. Tuttavia «non mi sono mai scoraggiato – rassicura lui oggi -. Mio padre è morto il giorno prima che io mi laureassi, l’indomani ero a laurearmi. Non è il lavoro che mi scoraggia, me ne sono andato per un motivo semplice». Di certo il continuo mancato appoggio ha lasciato i suoi profondi segni. Come nella vicenda della casa di riposo, in un certo senso il fulcro della sua candidatura.

«Non si poteva chiudere, ma avevamo trovato l’escamotage perfetto: l’esternalizzazione. Significa che se per ora spendo 750mila euro per 27 anziani, la metto a gara, faccio un contratto che mantiene gli standard e anzi ho la possibilità di controllarla meglio di come faccio per ora visto che il gestore sono io, e non solo taglio quella spesa ma in più prendo un affitto e non licenzio nessuno, perché così le undici lavoratrici della cooperativa che lavorano lì da anni sono salve, non perderebbero il posto perché passerebbero a chi vince la gara e il Comune guadagnerebbe circa 24mila euro all’anno – spiega -. Se qualcuno avesse avuto un’alternativa era libero di proporla. Ma tutti hanno cominciato a dire che volevo chiudere anche la casa di riposo, hanno bocciato tutti la delibera sia la prima che la seconda volta, quando erano pronti per il bene del paese a entrare in giunta, significa “o mi dai una posizione o non ti voto la delibera”. Non votare la delibera ha comportato il licenziamento di quelle lavoratrici, che sono state usate da questa politica, perché il giorno in cui si votava erano in consiglio comunale ad applaudire i loro carnefici, convinte che non votandola sarebbe rimasto tutto per com’era».

Una storia dai contorni paradossali, questa, se si pensa che a inserirsi a gamba tesa a un certo punto nella storia è persino la Caritas, a cui De Luca si era rivolto mesi prima per chiedere una mano, e che a giochi ormai fatti ha organizzato un’assemblea pubblica per discutere dell’argomento. «Non è un paese normale questo. Allora io mi dimetto perché non dimentico quelle undici lavoratrici e quei 27 anziani. Io potrei continuare a fare il sindaco, ho quattro posizioni assessoriali, distribuisco assessorati e quindi ho consenso, ma non do le chiavi di casa a nessuno, mi hanno eletto per essere il custode di quella casa». Insomma, dieci mesi di lotte in solitaria, dalla più piccola alla più grande questione sembrano stati quasi un incubo. Eppure non è cambiato il suo modo di vedere e percepire la politica né, soprattutto, di vedere Partinico, che forse oggi conosce anche meglio. «Ho imparato che c’è un modo di fare politica che ha la faccia tosta di far diventare bugia la verità e la verità bugia, e non si ferma, non ha nessun rossore, continua a urlare quella bugia come fosse verità. Ma gli anticorpi possono nascere solo nella comunità».

«In molti hanno detto che dimettendomi ho lasciato il paese in un momento difficilissimo, ma non è così. È che li ho lasciati senza capro espiatorio, visto che sono rimasti tutti lì ai loro posti – osserva -. A parte quattro scavezzacollo con le loro offese, il resto della città è stato con me appena mi sono dimesso». Viene quasi da chiedergli, però, chi gliel’abbia fatta fare tutta questa gran fatica, specie se dopo dieci mesi ha deciso di metterci un punto. «È stata un scelta di responsabilità e se tornassi indietro so che la rifarei – rivela -. Io mi sono dovuto dimettere dalla carica di sindaco perché mai avrei potuto dimettermi dalla mia coerenza».

Silvia Buffa

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