I cartelloni mostrano la sua faccia da settimane e il palco sotto al Fortino è quello dei grandi eventi. L'astro etneo nascente della musica napoletana è a suo agio sotto i riflettori ma timido fuori. «C'è la matteomania», racconta il padre, titolare di una panineria in via della Concordia
Matteo, il fenomeno neomelodico di 12 anni «Se fosse nato altrove avrebbe fatto il rap»
«Matteo, Matteo, una foto!». Piazza Palestro, è il 14 marzo, sono le sette del pomeriggio e tra due ore Matteo Milazzo salirà sul palco allestito davanti alla porta del Fortino. Il grande concerto in una delle piazze più ambite dai neomelodici nostrani è anche l’occasione per presentare il suo nuovo disco, La differenza. Sono attese, lo dice il suo manager, diecimila persone. Complici anche gli ospiti sul palco: Gianni Vezzosi e Nino Marchi, per citarne due. Lui, Matteo, è emozionatissimo. Sale sul palco per il sound check, saluta i suoi musicisti, dà un bacio a tutti. Suo padre gli tira su il cappuccio del giubbotto per risparmiargli un po’ di freddo e poi lo guarda con orgoglio da lontano. Perché Matteo, l’idolo delle ragazzine catanesi e fenomeno della musica napoletana fatta all’ombra dell’Etna, ha solo 12 anni e va alle medie. «Sono emozionato», dice lui, arrossendo. Timido. Sul palco incita il pubblico. «Su le mani», invita la folla, cantando. Prima, invece, si imbarazza: «Matteo, tranquillo», lo rassicura Franco Nobile, il suo manager. «Io da grande voglio fare il cantante», continua il ragazzino.
I suoi fan iniziano a raccogliersi sotto al palco molto prima dell’inizio dello spettacolo. Quando lui appare, tre ragazze si emozionano, gli smartphone tra le mani,lo riprendono mentre lui guarda scorrere sui maxischermi le immagini del suo ultimo video, girato a Napoli, dove è stato registrato tutto il disco. È il fenomeno di cui tutti parlano: i cartelloni pubblicitari della città mostrano la sua faccia da settimane, su Facebook ha due profili con cinquemila amici ciascuno, una pagina con più di tremila fan e un’altra gestita dal suo entourage, più piccola, che di fan ne ha già più di un migliaio. Piaccia o meno, Matteo i suoi dischi li vende. Al concerto c’è un gazebo pieno dei suoi poster e, quando dal palco la conduttrice della serata chiede al pubblico «Ci mostrate i cd che avete comprato?», le mani che si alzano a mostrare gli acquisti sono tante.
«C’è la matteomania», sorride Salvatore Milazzo, il padre della star. «Lui canticchiava per la strada, era una passione che già aveva dentro – racconta l’uomo, 38 anni, titolare di una panineria in via della Concordia – Finché un giorno questo signore lo ha sentito cantare». Salvatore Milazzo e Franco Nobile sono seduti vicini, le due colonne portanti della carriera del piccolo Matteo. «Un giorno mi chiama un barbiere di San Cristoforo, un amico mio, quello dove vado io – inizia Nobile – Sapeva che organizzavo eventi, così mi chiede di andare un attimo da lui». Era il 2012, Matteo aveva nove anni. «C’era questo bambino lì seduto con altri bambini. Quando arrivo, il barbiere gli dice: “Matteo, c’ha canti ‘na canzuna di Gianni Vezzosi?“». Nobile, lì per lì, rimane interdetto: «Ho detto che non avevo tempo per queste cose, che avevo da fare. Matteo mi ha cantato due strofe, solo il ritornello. Gli ho detto subito: “Stasera vieni a cantare con me”. Era una scommessa. C’era un concerto di Vezzosi a San Cristoforo, ho detto a Gianni di fargli cantare una canzone. Lui mi ha ascoltato e, appena Matteo ha cominciato, Gianni si è seduto su una cassa, guardandolo, e gli ha detto: “Canta tu”».
«A quel punto ho cominciato a dargli fiducia – afferma il padre – Io pensavo che non fosse una cosa che poteva andare avanti, ma lui ci metteva ogni giorno più passione». Il primo disco è uscito il 5 giugno del 2014. Neanche un anno dopo, è già il momento del secondo. «Dopo la serata con Vezzosi, c’è stato l’exploit e il bambino ha cominciato a lavorare». Compleanni, battesimi, cresime, comunioni. E pure matrimoni. Un’apparizione di Matteo al momento costa 500 euro. Ma la cifra salirà con la fama. I cantanti più affermati guadagnano fino a cinquemila euro per le loro esibizione alle cerimonie. E Matteo ne ha al suo attivo, a 12 anni, già una ventina. Per lo più al di fuori dei confini della Sicilia. In Puglia, in Calabria, in Basilicata. Ma anche Palermo e Trapani. «Pure i cantanti più affermati cercavano Matteo come mascotte», prosegue Franco Nobile. «Facevamo le cene spettacolo: organizzavamo una cena con il concerto di Matteo, con quattrocento persone, tutte paganti». Il padre è commosso, la madre «è incredula». «Matteo è diventato una moda, gli copiano il taglio di capelli. Lui è stato il primo ad avere le ballerine, adesso ce le hanno anche gli altri. Lui è stato il primo così giovane, adesso a Catania ce ne sono una quindicina».
«Nella sua scuola è diventato un idolo, i bambini delle altre classi vanno da lui per l’autografo», racconta Salvatore Milazzo. Secondo il quale la vicinanza della musica neomelodica con la criminalità organizzata è «una macchia»: «Finché ci sarò io, che sono l’unico che non lo potrà mai tradire, questo rischio non c’è». Ma più avanti «se non ci sarò io, i problemi ci possono anche stare. Perché è sempre un mondo un po’ brutto. Come in tutte le cose, ci sono i buoni e i cattivi». «Tutto quello che si vede è frutto del sudore mio e di mia moglie. È il risultato dei nostri sacrifici». E se Matteo ha iniziato a fare la musica neomelodica «è perché è di quartiere – interviene Franco Nobile – Se veniva da un’altra parte faceva il rap». «I miei cantanti preferiti sono Mauro Nardi e Gianni Vezzosi», dice Matteo. «Adesso, rispetto all’inizio, sono più sicuro di me – sorride – Andare a Napoli è stato bellissimo, un po’ di freddo…». Sul palco di piazza Palestro si muove come la più esperta delle popstar: legge i messaggi dei fan, incita il pubblico, scarta i regali che gli lanciano. Le diecimila persone attese non ci sono, ma la piazza è piena lo stesso. Alcuni stanno in piedi per vederci meglio. «Qualcuno mi dice che, invece di cantare, devo giocare alla Play Station – racconta Matteo – Ma io preferisco cantare». E la scuola? «Bene».