Matrimoni gay: un confronto d’opinioni

Manca ancora l’approvazione del Senato, ma in Spagna il primo passo verso la “rivoluzione” è già compiuto. Con 183 voti a favore, 136 contrari e 6 astenuti, la Camera dei Deputati ha dato il via al provvedimento che consentirà il matrimonio tra coppie omosessuali. La riforma del Codice civile darà alle unioni omosessuali lo stesso trattamento giuridico di quelle eterosessuali: le parole “marito” e “moglie” verranno sostituite con “coniugi”. Alle coppie gay sarà concessa l’adozione e anziché di “padre” e “madre” si parlerà semplicemente di “genitori”.
Per testare qual è, in merito, la situazione del nostro Paese abbiamo chiesto l’opinione del professor Giuseppe Costa (sacerdote e docente di Storia e tecnica del giornalismo della facoltà di Lingue di Catania) e di Sara Crescimone (membro di Open Mind Catania).

Matrimoni gay: qual è la sua opinione in merito?
Costa: “Il rapporto uomo-donna è il fulcro della cristianità, in quanto legato alla procreazione. Nel rapporto omosessuale, c’è un tipo di sessualità diversa”.

Crescimone: “Personalmente, io non sono per il matrimonio a tutti i costi, perché la vedo come un’omologazione ad un modello eterosessuale in cui non mi riconosco. Sono più propensa ad altre forme di tutela per le coppie. Non mi riconosco nel matrimonio come rito, nell’indossare un abito, non sono per sostituire “Renzo e Lucia” con “Renza e Lucia”. Ovviamente, però, non sono contraria a chi in un’istituzione di questo tipo si riconosce.
Il matrimonio concesso agli omosessuali, in un’epoca in cui ormai anche tra le coppie etero è in crisi, mi sembra un “contentino”, oltre ad essere un simbolo che non mi appartiene. È la parola ‘matrimonio’ che proprio non sento mia”.

È possibile che questa legge arrivi anche in Italia o, essendo il nostro paese la sede del Vaticano, è istituzionalmente impossibile?
Costa: “Come fatto politico potrebbe passare, ma non credo che i politici vogliano scommettere più di tanto. Questa diversità non è così urgente da esigere un intervento, quindi non credo proprio che passerebbe. Anche se l’Italia è una società pluralistica complessa, non è comunque intollerante”.

Crescimone: “Qui in Italia credo che una battaglia del genere sarebbe persa in partenza. Non tanto per una questione di mentalità popolare: al contrario, spesso la gente è più avanti del sistema. Piuttosto è perché nel nostro Paese abbiamo la “spina nel fianco” del Vaticano, che impedirà ad oltranza qualsiasi tentativo di stravolgimento dell’ordine precostituito. E lo Stato non è da meno: se al governo c’è la destra, si oppone a quelle che considera eresie per partito preso; d’altra parte la sinistra, che si professa tanto aperta alla diversità, quando arriva al governo diventa improvvisamente cattolica anche lei. In Italia la sessualità è e resterà un argomento tabù: finché credono che i gay vivano solo nelle discoteche, che facciano esclusivamente vita notturna, finché ci relegano in “ghetti”, ci credono “controllabili”. Quando però lo stereotipo si evolve in qualcosa che non avevano previsto, quando si tratta di convivenza “pacifica” tra gay ed etero, allora diventiamo un problema”.

E riguardo all’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali? Crede che a livello educativo possa essere dannoso?
Costa: “A livello legale, se un single potesse adottare un bambino, il problema non si porrebbe; ma il bambino ha bisogno della donna, della presenza femminile e maschile. Privarlo di uno dei due, vorrebbe dire non farlo maturare pienamente”.

Crescimone: “L’adozione è una di quelle cause per cui secondo me vale la pena battersi. Non è concepibile che esistano bambini orfani e contemporaneamente genitori single ed omosessuali desiderosi di adottarli senza averne la possibilità. Sarà anche vero che i bambini hanno bisogno di crescere con delle figure di riferimento sia maschili che femminili, ma queste figure potrebbero essere semplici parenti, non necessariamente i genitori. Che senso ha legalizzare il matrimonio gay se poi le coppie non possono adottare figli?”.

Per un ulteriore parere, ci siamo rivolti al professor Marco Centorrino, docente di Sociologia della comunicazione della facoltà di Lettere. Clicca qui per leggere le sue risposte.


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