Mascalucia, pizzo da 500 euro al mese al tabaccaio Il racconto: «Quindici anni nelle mani di amici buoni»

«La paura gioca brutti scherzi. Se ci avessi pensato prima, non avrei passato 15 anni di inferno». Salvatore Sapienza è un tabaccaio di Mascalucia. Per anni quelli che si sono presentati nel suo locale di via Etnea come «amici, persone di cui fidarsi» lo avrebbero costretto a pagare rate da 500 euro al mese, dietro la continua minaccia di poter essere rapinato ancora una volta. Tutto è cambiato un giorno ben preciso, Sapienza lo ricorda bene: «Il 14 luglio dell’anno scorso». Il commerciante confessa al suo commercialista Carmelo Finocchiaro, uno dei coordinatori dell’associazione Confedercontribuenti, quanto accadeva dal 2001. «Mi ha portato di peso in questura – afferma Sapienza a MeridioNews – e da lì è cominciato tutto». Anche un’indagine, che mercoledì scorso ha permesso l’arresto di otto uomini che secondo le forze dell’ordine risultano «quasi tutti, collegati tra loro in una sorta di contiguità mafiosa» con la «cosca Santapaola-Ercolano».

L’operazione Dirty money ha portato in carcere Fabio Cantone, 28 anni, Salvatore Maurizio Buzza, 51 anni, Avdyl Cucka, 50enne, Angelo Provvidenti, 72enne, e i pregiudicati Francesco Di Modica, 33 anni, Carmelo Scuderi, 54 anni, Salvatore Tiralongo, 40 anni, Antonino Varisco, 50enne già detenuto. Sono ritenuti a vario titolo responsabili dei reati di usura ed estorsione aggravate. La polizia ha accertato cinque prestiti che la vittima avrebbe dovuto estinguere pagando tassi di interesse al 120 per cento

Si capiva che sapevano tutto di me e della mia famiglia. E questa paura mi ha costretto ad accettare di pagare

«È iniziato tutto con le rapine», afferma Salvatore Sapienza. Le prime che subisce le definisce «devastanti. Mi hanno rubato merce per cento milioni di lire». In un mese ne subisce altre sette. «Entravano, abbassavano la tenda parasole e mettevano dentro i sacchi neri tutto quello che potevano prendere – spiega – Io riempivo la tabaccheria, loro la svuotavano. Si portavano tutto». Senza alcun guadagno, con la necessità di far fronte alle continue perdite, «sono dovuto andare dagli usurai». Gli «amici buoni» che gli avrebbero prestato del denaro da restituire pure tramite ricariche Postepay. «”A disposizione”, “Tranquillo”, mi dicevano. E magari mi chiedevano di cambiare un assegno che poteva essere rubato o di conservare qualcosa». 

«Pagavo anche mille euro al mese un debito che non finiva mai». Al timore della prossima rapina si aggiunge quella per i propri cari. «Mi dicevano “che bella figlia hai”, sapevano dove andava a scuola, chi la andava a prendere – prosegue Sapienza – Si capiva che sapevano tutto di me e della mia famiglia. E questa paura mi ha costretto ad accettare di pagare», confessa.

Un anno fa, dopo lo sfogo con Finocchiaro, la decisione di firmare il lungo verbale nel quale sono raccontati 15 anni di angosce. «Ho provato un senso di liberazione», ammette il tabaccaio. La testimonianza del commerciante trova riscontro nelle indagini della squadra antiracket della polizia. Dal primo momento «due persone mi sono sempre state vicine, l’ispettore capo Alessandro Scuderi e il sovrintendente Antonio Rocca – tiene a precisare Sapienza – mi hanno supportato sempre, anche dal punto di vista psicologico». Perché il timore di una ritorsione è sempre dietro l’angolo, continua l’uomo. «Fino a pochi giorni fa la moglie di uno degli arrestati si è avvicinata a mia moglie e l’ha fermata. Tuttora subisco minacce». E sottolinea che «non si tratta di semplici usurai», riferendosi alla presunta appartenenza degli otto arrestati al clan etneo. 

Più forte di tutto è il «rammarico di aver denunciato solo ora. Avrei dovuto farlo prima», sospira. «Non lo auguro a nessuno – premette – però, quello che vorrei dire a tutti, è che si deve denunciare», dice con forza. «Altrimenti si finisce per diventare complici». E conclude: «Lo Stato mi ha salvato, la mafia si può sconfiggere».  


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