Mancano poche ore all’inaugurazione della mostra Martiri, a cura di Antonio Parrinello, nel foyer della Sala Verga del Teatro Stabile di Catania, dove è già stato protagonista in passato come fotografo di scena. Stavolta, però, non espone immagini di spettacoli bensì 33 fotografie che immortalano il volto di donne vittime di violenza. Tra queste, 17 riproducono in bianco e nero lo stesso soggetto: Sant’Agata, a cui il fotografo affianca 16 scatti a colori di migranti appena sbarcate nei porti siciliani. Filo conduttore: il martirio, ovvero «la violenza vissuta da queste donne», spiega Parrinello. «L’immigrazione è un tema che divide. Penso che si tenda a scaricare sui profughi molte colpe di problemi che sono nostri. La mostra ho lo scopo di portare alla luce proprio l’impatto visivo, che in realtà è quello che si vede meno. Spesso, infatti, gli sbarchi avvengono lontano da Catania, ad esempio nei porti di Augusta e Pozzallo, per cui ce ne manca la percezione diretta», continua.
«Cosa li accomuna alla Santa? L’accoglienza. Come dopo un anno di attesa i devoti accolgono la santa, così una buona parte di catanesi accoglie i migranti – anche se non fisicamente sul posto – quando ricevono la notizia dello sbarco. Un discorso che in realtà vale per ogni italiano che non ha il senso del respingimento ma che anzi lo condanna. Si tratta di un problema politico grave, che non può risolversi sulla pelle degli altri, lasciando persone in mare. Ci sono le sedi giuste».
Un’esposizione che indaga il concetto di santità e la trova nell’umanità più povera e disperata, di chi proviene da quei quartieri «dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi», canterebbe forse oggi Fabrizio De Andrè. Ma che trovano un po’ di calore proprio nell’imminenza dello sbarco. «Immortalo le loro emozioni quando vedono terra, quando gli occhi sembrano dire “Io ce l’ho fatta. Sono salvo”. Una gioia mista a tristezza, però, per il dolore di aver perso o lasciato tutto nel paese di origine. Ecco io ho fotografato questa miscela».
Una mostra dal forte contenuto umano ma che non tralascia l’aspetto tecnico né quello cronachistico. «Le foto su Sant’Agata le ho scattate tra il 1990 e il 1999 in bianco e nero, su pellicola; quelle delle migranti negli ultimi anni, a colore e in analogico», continua Parrinello. «Emerge, quindi, il parallelismo della fotografia che è cambiata, dal rullino al digitale. Quindi, in mostra c’è anche un confronto tra passato e presente sulla tecnica fotografica di registrazione e sul supporto. La pellicola coglieva dei fantasmi – ironizza – perché non li vedevo fino allo sviluppo in camera oscura». La rassegna, voluta e proposta dal fotografo in concomitanza allo spettacolo A. Semu tutti devoti tutti? della compagnia di danza Zappalà, confermerebbe anche l’apertura dello Stabile a nuove iniziative, nell’ottica della direzione scelta da Laura Sicignano. «La direttrice ha accolto subito la mia proposta, in quanto il teatro non viene più inteso esclusivamente come luogo di spettacolo, ma anche di cultura, aggregazione e scambio».
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