Kusturica realizza un documentario senza né capo né coda su Maradona. Un Maradona inedito, ma neanche tanto: visto sul piano delle sue improbabili frequentazioni rivoluzionarie. Castro soprattutto e poi Chavez, Morales, più lirrinunciabile assistente ideale di ogni gauchismo: Che Guevara, che il campione si è fatto debitamente tatuare sul braccio
Maradona il rivoluzionario
A distanza di poco tempo (poco più di un anno), ecco un altro film su Maradona. Il primo, La mano de Dios, di Marco Risi, era davvero prescindibile. Questultimo, intitolato proprio Maradona, è leggermente migliore. Ma rimane una cosa senza pregi. Eppure il suo autore, Emir Kusturica, ci aveva abituato a opere complesse e intense.
Qui della sua profondità visionaria e del suo estro narrativo non cè traccia. Si tratta di una specie di documentario basato su materiale girato negli ultimi tre anni: cose che potevano tranquillamente restare nel suo archivio personale di memorie filmate. Diego Armando Maradona non è forse (ancora?) adatto a essere impacchettato in una pellicola che non sia unantologia di gol e prodezze. Tanto più che Kusturica si spinge dove non pensavamo si potesse andare, ovvero alla ricerca del Maradona politico. Un Maradona terzomondista, castrista, guevarista, antiimperialista, che si fa portavoce, in una confusione manichea e qualunquista, di istanze goffamente antiyankee. Alla fine a lui si perdona tutto e gli argentini, indulgenti, gli perdonano tutto: ma figurarsi se abboccano, tutti in blocco, a un Maradona capopolo, riferimento o rappresentante ideologico.
El pibe de oro parla, senza troppa cognizione di causa, di globalizzazione, rivendicazioni locali, lotte contadine, Afghanistan; anzi, più propriamente, non parla, ma lancia slogan alla camera di Kusturica. Il quale e qui scatta un po di meraviglia – lo prende sul serio! Va bene il racconto dellascesa, dal sottoscala della società argentina alla gloria planetaria, del campione poverissimo, dellindividuo tenace e indomabile, artefice del proprio destino e di quello di unintera nazione. Però da qui a riconoscere a Diego un credito e unautorevolezza intellettuali tali da riempire un film di due ore e passa, tra eccentricità argentine la chiesa maradoniana -, divagazioni su tango e su Borges che centrano? -, improbabili e per nulla caustici sberleffi di Bush, Blair e la Thatcher, autocitazioni da Ti ricordi di Dolly Bell, Papà è in viaggio daffari, Gatto nero, gatto bianco, ce ne passa.
Kusturica, ancorché se ne dica amico, trascura poi di Maradona alcune cose decisive della sua personalità: linfantilismo, la sconsideratezza, la vulnerabilità, il candore, il narcisismo, la fragilità, la generosità. Inoltre nellinseguire lidea eroica e peregrina di un Maradona battagliero, il regista yugoslavo minimizza e sorvola sul significato e il valore delle vittorie calcistiche, delle coppe, degli scudetti. Tutto è ridotto alla lotta tra Sud oppresso (non solo quello italiano) e Nord arrogante e diabolico. Solo la povertà del piccolo Diego, della sua infanzia indigente nella municipalità di Villa Fiorito, sfugge a una rappresentazione romanzata e di maniera. Kusturica fortunatamente ci risparmia la retorica della povertà dignitosa e solidale coeva al Maradona bambino, contrapposta a quella senza morale dei giorni nostri.
Il regista, altrove distintosi per una singolare severità verso il cedimento a ogni tipo di tentazione ideologica, si lascia circuire da un facile gusto per la rivoluzione, per di più incarnato da un simpatico e spaesato Maradona. A cui del resto si perdona tutto, anche un po di esuberante gauchismo.
P.s. Tra i due vince ai punti il campione argentino la sfida a chi si dà più arie!