Nel sistema idraulico dell'hinterland catanese qualcosa è stato fatto e molto altro no. A spiegare i tempi è l'assessore etneo ai Lavori pubblici Enrico Trantino. A pungolare le amministrazioni e invitare alla prevenzione è il docente di Unict Enrico Foti
Maltempo, che fine ha fatto il collettore B anti-allagamenti? «Per quattro anni fermo a Roma, ora manca l’ultimo parere»
«La mia personale opinione?
politici hanno un’avversione di tipo psicologico per le opere che costano un sacco, non si vedono quando sono realizzate ma per costruirle causano forti disagi alla popolazione». Si potrebbe riassumere con una mancanza di lungimiranza lunga decenni la storia di Catania che viene inondata a ogni pioggia, in assenza di un canale di gronda ben collegato e dell’ormai famoso collettore B. Opere che, in situazioni come quella del ciclone mediterraneo simil-tropicale che sta interessando l’area orientale della Sicilia, potrebbero evitare disastri e salvare vite umane. A fornire il riassunto socio-politico è in realtà un tecnico: Enrico Foti, docente di idraulica all’Università di Catania e componente del comitato tecnico-scientifico dell’autorità di bacino idrogeologico della Sicilia, sentito all’interno del programma Direttora d’aria su Radio Fantastica. Posizione, la sua, in parte condivisa anche da Enrico Trantino, assessore ai Lavori pubblici del Comune di Catania: «Il progetto del collettore B è davvero risalente nel tempo e paghiamo decenni di scellerata cementificazione. Oggi è inutile cercare colpevoli». Il dibattito si ripresenta a ogni tragica pioggia: nell’ottobre del 2003 una ragazza era morta annegata, trascinata e uccisa dalla furia dell’acqua mentre si trovava a bordo del suo motorino in via Galermo. Negli ultimi tre giorni, nel Catanese si contano tre morti: marito e moglie nella zona della Piana e un uomo di 53 anni a Gravina.
Al momento a Catania esiste solo
il collettore C o canale di gronda (la linea verde nella mappa) che serve a portare l’acqua da nord a est: dalla Circonvallazione alla Scogliera. I sei pettini (gli affluenti in blu nella cartina) che dovrebbero portare l’acqua piovana da nord al canale di gronda ci sono solo a Catania ma non esiste il collegamento dai paesi etnei. A mancare è anche il collettore B o canale di gronda ovest che dalla zona di Misterbianco e Monte Po dovrebbe scaricare nel torrente Cubba. Se ci fosse stato, probabilmente non si sarebbe allagata parte della città, compreso l’ospedale Garibaldi-Nesima. Sebbene sull’allagamento del nosocomio il Comune di Catania abbia aperto un’indagine con la collaborazione del reparto antiabusivismo della polizia municipale per chiarire l’eventuale ruolo giocato da alcune strutture – un chiosco, una stazione di servizio e un muro tra i due – di fronte all’ospedale. Nei prossimi giorni è previsto un sopralluogo.
Allo stato, il collettore C permette alle acque comunali di canalizzarsi. «Il problema sono quelle che arrivano dai
Comuni pedemontani», spiega l’assessore ai Lavori pubblici di Catania Enrico Trantino. Le strade di Catania si trasformano in fiumi perché i pettini non sono stati mai realizzati. Negli anni, diverse sarebbero state le sollecitazioni ai sindaci ma «a me risulta – aggiunge l’assessore – che solo San Gregorio abbia già predisposto le opere». Le altre amministrazioni, finora, avrebbero fatto orecchie da mercante. Tanto che adesso per Trantino si è resa necessaria la convocazione di un tavolo in prefettura.
Solo sulla carta sarebbe rimasto anche il
collettore B. Nel 2015 l’allora amministrazione di Enzo Bianco aveva annunciato lo stanziamento da Roma di 58 milioni di euro. «Evitiamo le polemiche su chi abbia ottenuto i finanziamenti, considerato che arrivano in base all’avanzamento dell’opera – puntualizza il suo successore – L’incarico al progettista è datato nel tempo, ma il problema è che il decreto del presidente del Consiglio dei ministri sugli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico è del 2015. Poi, c’è stato un percorso accidentato fino al 2019, quando è arrivato il decreto che ha stanziato le risorse». Quattro anni in cui non viene fatto nemmeno un passo avanti. «Non lo voglio definire un rimpallo di competenze – prova a chiarire Trantino – ma ci sono stati trasferimenti da un’autorità a un’altra, per riunire diversi progetti».
Tempi della burocrazia che non tengono conto della natura e delle conseguenza. A maggio il progetto definitivo è stato inviato – per la seconda volta, a distanza di otto mesi dal primo invio, per delle richieste di integrazione – al commissario straordinario Maurizio Croce. «La settimana scorsa – assicura l’assessore – si è riunito il gruppo di lavoro del bacino regionale e stiamo aspettando il verbale per sapere se finalmente l’opera potrà andare a gara». «Il comitato tecnico-scientifico dell’autorità di bacino non è stata informata, ma non ci vengono sottoposti tutti i progetti», risponde sul punto Foti, tra i componenti. L’amministrazione, intanto, prova a muoversi in altre direzioni. «Abbiamo convocato l’associazione degli speleologi che hanno mappato le cavità che giungono a mare e stiamo pensando di poter far confluire le acque in questo modo naturale». Un’idea, anche questa, che dovrà tenere conto della burocrazia: «Un’amministrazione pubblica non è un’abitazione privata – sottolinea Trantino – Se vogliamo ottenere efficienza, dobbiamo affidare le decisioni a un gruppo che sia in numero dispari non superiore a due».
Ma, come spiega Foti, chi governa un territorio ha ancora altre frecce al proprio arco: «Oltre alle opere strutturali, comunque necessarie, oggi aiutano decisamente i modelli di previsione che sono sempre più affidabili, specie nel breve termine». Il sistema delle allerte meteo che, almeno stavolta, sembra non aver toppato affatto. Solo che i cittadini non se lo aspettavano. «Dovremmo abituarci a questi eventi estremi – avverte il docente – e non si può più parlare di emergenza perché si presentano con sempre maggiore frequenza».