Mafia, tre estorsori rischiano processo dopo denuncia Alla vittima: «Chiami i carabinieri? Li lego insieme a te»

È arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per Giuseppe Calcagno e per i fratelli Carmelo e Salvatore Scafidi. Per tutti e tre l’accusa è di estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni di due fratelli imprenditori di Biancavilla che, dopo oltre un anno di violenze e intimidazioni, li avevano denunciati. Calcagno e Salvatore Scafidi, al momento, si trovano già sottoposti come misura cautelare all’obbligo di dimora nel Comune di Adrano; mentre Carmelo Scafidi è già sottoposto agli arresti domiciliari per questa vicenda e detenuto al carcere Pagliarelli di Palermo per altra causa. Dopo la richiesta del pubblico ministero, il gup Filippo Castronuovo ha fissato l’udienza preliminare per il 18 giugno

«Una vicenda nasce dalla precisa volontà degli imprenditori di denunciare», spiega a MeridioNews Nicola Grassi, il presidente di Asaec, l’associazione antiestorsione di Catania che li ha accompagnati lungo tutto l’iter e continua a farlo anche adesso. «Ricordiamo perfettamente il momento in cui abbiamo ricevuto la loro richiesta di aiuto. Subito ci siamo attivati e – racconta Grassi – dopo un incontro preliminare per conoscerci e farci raccontare la loro storia, abbiamo accompagnato le vittime dai carabinieri di Paternò per la denuncia». Di lì a poco sono tutti e tre vengono arrestati dopo oltre un anno di minacce subite dagli imprenditori.

«Dove sei che ti taglio la testa?». L’intento dei tre sarebbe stato chiaro fin dall’incipit della prima conversazione telefonica avvenuta a metà settembre del 2018. Da un lato della cornetta ci sono Giuseppe Calcagno e Salvatore Scafidi, dall’altro lato una delle due vittime. Da quel momento, partono le insistenti richieste e le violenze per costringerli a estinguere un debito di poco più di 58mila euro che la loro cooperativa agricola, ormai in liquidazione, aveva contratto nei confronti di un’altra società di cui solo Carmelo Scafidi era socio consigliere. In quel primo dialogo, l’imprenditore accenna già la volontà di informare le forze dell’ordine. «Vai dai carabinieri, li porti qua e io li lego insieme a te nel paraurti della macchina e ci facciamo un giro per la strada», avrebbe ribattuto subito Calcagno. Nei giorni successivi, i tre estorsori sarebbero tornati all’attacco intimando ai due fratelli di pagare anche con una parte di produzione di arance o con qualche macchinario dell’azienda

È agosto del 2019 quando Scafidi e Calcagno incontrano una delle vittime alla villa comunale di Adrano. Lì lo avrebbero minacciato di ucciderlo se non avesse estinto il debito che, in realtà, non avrebbero avuto alcun diritto di vantare. In quella occasione, i due avrebbero fatto anche esplicito riferimento alla necessità di soldi dovuta al sequestro subìto da parte della Direzione investigativa antimafia. Un modo, non troppo velato, di rimandare a provvedimenti giudiziari di natura patrimoniale dovuti alla loro vicinanza alla criminalità organizzata. Circa un mese dopo, entrambi si sarebbero presentati nel magazzino: «Si tranquillo? Te spicciasti i sordi?», avrebbe detto Calcagno a una delle vittime prima di colpirla con una testata e anche con una cassetta di quelle che si usano per la frutta e la verdura. Mimando il gesto del taglio della gola, poi gli avrebbe promesso che sarebbero tornati entro una settimana per ucciderlo. «Tu ma dari i soddi (Tu mi devi dare i soldi, ndr)», avrebbe aggiunto Scafidi mentre dava alla vittima due schiaffi al viso e una pedata nei genitali. Fuori dal magazzino, Calcagno avrebbe anche strappato la maglietta della vittima. Un’aggressione per cui dall’ospedale di Biancavilla arriva una prognosi di sette giorni. 

Intanto, Scafidi e Calcagno si sarebbero vantati con un fornitore di prodotti (che è anche il testimone di nozze) dell’imprenditore di averlo picchiato, riferendo di essere loro a comandare ad Adrano, di avere il dominio della zona e che, comunque, prima di agire, avrebbero chiesto il consenso al reggente mafioso di Biancavilla. È fine ottobre quando i tre tornano all’attacco con le minacce telefoniche. «Tu mi devi dare i soldi, ma io penso che a qualcuno gli faccio male – dice Calcagno – perché io non mi posso muovere. Devo andare a lavorare e non posso, a rubare non ci posso andare ma a fare male alle persone lo so fare». Lo stesso giorno è la vittima a contattare Carmelo Scafidi per chiedergli un incontro di presenza riferendogli della minaccia e cercando di rabbonirlo ribadendo di non potere saldare il debito. «Una metà (di raccolto delle arance, ndr) tu me li devi dare, me lo devi fare per favore – ribatte Scafidi dopo avergli offerto anche la propria protezione – Mi sto seccando, tu non mi stai volendo bene, mi stai portando al punto che mi devo comportare male». 


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