Mafia, smantellato il clan di Orazio Privitera A gestirlo era la moglie Tina Balsamo

«Un gruppo criminale dalle attività con radici lontane ma sviluppi molto moderni». E retto da una donna, Tina. Al secolo Agata Balsamo – imprenditrice agricola incensurata e moglie di Orazio Privitera, storico boss catanese oggi detenuto al 41 bis – era vertice decisionale ma anche mediatrice dei conflitti e dispensatrice dei privilegi. E’ il nuovo assetto del clan mafioso etneo dei Carateddi scoperto dalla direzione investigativa antimafia di Catania che – in collaborazione con gli uffici di Siracusa, Milano e Torino – all’alba ha arrestato 25 persone, quasi tutte libere, ed è ancora alla ricerca di due presunti esponenti del clan sfuggiti alla cattura. Insieme a loro, l’indagine conta altri 27 indagati sospettati di aver contribuito a una serie di truffe all’Agea (Agenzia per le erogazioni agricole), una delle attività al passo con i tempi preferite dal clan e che ha dato il nome all’operazione delle forze dell’ordine: Prato verde.

«Nonostante gli arresti di diversi anni fa, il gruppo dei Carateddi continua ad essere attivo e tenta di espandersi coprendo dei vuoti anche nell’area di Caltanissetta», spiega il procuratore capo etneo Giovanni Salvi. Radicato da Bicocca a Siracusa, compresa l’area di Scordia e Palagonia, il clan si occupa da sempre dei tradizionali business mafiosi: dal traffico di droga alle estorsioni. Come quella accertate dagli inquirenti ai danni della stazione di servizio Q8 lungo l’asse dei servizi etneo e al villaggio turistico La Cucaracha, alla Playa etnea, a cui il clan avrebbe imposto la gestione del parcheggio.

Ma dal marzo del 2011 all’ottobre del 2012, periodo delle indagini, gli investigatori hanno scoperto un’evoluzione della tradizionale guardiania, il sistema di protezione mafiosa imposta ai proprietari beni. A volte ignari, più spesso minacciati, gli intestatari degli terreni venivano costretti a presentare delle domande per accedere ai contributi europei erogati dall’Agea. «Le contribuzioni vengono rilasciate sulla base di un’autodichiarazione delle particelle di terreno destinate all’attività agricola – spiega il magistrato Pasquale Pacifico – Il clan distribuiva tra i soggetti vicini le particelle di terreno che facevano riferimento a ignari intestatari». Ma a intascare i finanziamenti era il gruppo criminale, «almeno un milione e mezzo tra il 2011 e il 2012». A cui si sono aggiunti i guadagni delle «truffe sulle forniture di carburante per uso agricolo a prezzi agevolati che invece veniva immesso nuovamente nel mercato grazie a distributori compiacenti», continua il magistrato.

Agata Balsamo, classe 1967, imprenditrice agricola incensurata e moglie del boss Orazio Privitera, accusata di aver preso il posto di comando che era del marito

A gestire tutte le attività, vecchie e nuove, erano Agata Balsamo, Giuseppe Privitera e Giacomo Cosenza, detto Alfonso. «Tina Balsamo ha mantenuto le redini del gruppo anche attraverso i contatti con il marito nonostante il regime di 41 bis – spiega Pacifico – Ne manteneva economicamente gli affiliati, mediava i conflitti e impartiva le linee di strategia, anche molto particolari e spesso violente, almeno nelle intenzioni». La donna poteva contare su un gruppo coeso «in cui gli affiliati erano per lo più vicini a Orazio Privitera (marito di Agata Balsamo, ndr) per vincoli di parentela o affinità». Un gruppo affiatato almeno fino al pentimento di Giacomo Cosenza (omonimo del vertice), che avrebbe provocato non poche fibrillazioni all’interno del clan. Come dimostrano le intercettazioni dove un affiliato, lamentandosi con Tina Balsamo, lascia da parte per una volta il frasario criptico di solito utilizzato con scrupolo del clan e sbotta: «Quando c’era una cosa di queste… Uno di questi faceva queste cose gli iniziavi a sterminare …incomprensibile… quello che gli dovevi sterminare». «A verità», è la secca risposta di Balsamo.

Insieme a lei, Giuseppe Privitera e Giacomo Cosenza – entrambi imprenditori agricoli pregiudicati -, gli altri arrestati questa mattina con l’accusa, a vario titolo, di associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, truffa aggravata e porto illegale di armi sono: i pregiudicati Giovanni PriviteraCarmelo Abate, Domenico Botta, detto Tirrimotu; Giuseppe Buda, già detenuto; l’autotrasportatore pregiudicato Orazio Buda; Antonio Caruso, ambulante pregiudicato; Alfio Cosenza, detto TuriGiuseppe Cosenza, detto Pinocchio; gli imprenditori Franco e Salvatore Marino, Francesco Pasqua, Francesco Martino Platania, Alfio Vecchio; il pregiudicato Salvatore Russo, detto Turi baffo. Da questa mattina sono invece agli arresti domiciliari per detenzione e cessione di sostanze stupefacenti: le due incensurate Natala Sulfaro e Maria Dinca; i pregiudicati Angelo Vasta, Salvatore Cicero, Anthony Di Pietro, Michele Viscuso; gli incensurati Emiliano Antonino Di Mauro, autotraportatore, e Francesco Tosto, autista.


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