Si tratta del quarantaseienne Francesco Marotta, originario di Ribera. Sigilli ad aziende, quote societarie e automobili. Negli anni, l'uomo avrebbe costruito un impero economico basato sul cemento, che avrebbe anche messo a disposizione del boss per favorirne la latitanza. Guarda il video
Mafia, sequestro di beni per venti milioni a un imprenditore «Favorì latitanza del boss agrigentino Giuseppe Falsone»
Beni per un valore di oltre venti milioni di euro sono stati sequestrati dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Palermo, guidati dal colonnello Francesco Mazzotta, in esecuzione di un provvedimento emesso dal Tribunale di Agrigento – sezione Misure di prevenzione nei confronti del noto imprenditore agrigentino Carmelo Marotta di 46 anni di Ribera, in provincia di Agrigento. Il provvedimento cautelare è stato emesso su proposta del Procuratore aggiunto del capoluogo Bernardo Petralia e del pm Rita Fulantelli, d’intesa con il Procuratore capo Francesco Lo Voi, che hanno avallato la richiesta di applicazione di misure di prevenzione patrimoniali, formulata dal Gico.
I sigilli sono stati posti a tre aziende – tutte nella provincia di Agrigento -, altre partecipazioni societarie, decine di rapporti finanziari e alcune autovetture. Marotta, già indagato per associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione Maginot del 2011, nonché per bancarotta fraudolenta, intestazione fittizia di beni e truffa, è stato condannato nel luglio del 2015 con sentenza definitiva per aver favorito la latitanza del capomafia di Campobello di Licata Giuseppe Falsone.
Marotta – secondo quanto ricostruito dalla Guardia di finanza – dopo la condanna in primo grado, era stato comunque assolto dall’accusa di associazione mafiosa, le Fiamme gialle, sulla base degli atti giudiziari, avrebbero evidenziato la sua pericolosità sociale. Già in passato il collaboratore di giustizia Calogero Rizzuto lo aveva indicato come soggetto raccomandato da Giuseppe e Francesco Capizzi, esponenti della famiglia mafiosa di Ribera, affinché non pagasse il pizzo a Sciacca.
Negli anni, Marotta avrebbe costruito un impero economico basato sul cemento e intestando bnei anche alle sorelle, costituendo società che gestivano cave ed imprese edili, che avrebbe anche messo a disposizione di Falsone per favorirne la latitanza. Infatti il boss, che utilizzava un documento falso predisposto dallo stesso Marotta, figurava quale dipendente, con mansioni di trasportatore, di una delle società costituite appositamente, la Edilmar. Questo rapporto tra Falsone e Marotta, ricostruito nella sentenza che lo ha visto definitivamente condannato, ha trovato ulteriore conferma fra i documenti rinvenuti nel covo marsigliese del latitante, che nei suoi pizzini appellava l’imprenditore con l’appellatvo u’ maluppila (il malpelo) per il colore della carnagione e dei capelli.
Le indagini del Gico hanno permesso inoltre di dimostrare la sperequazione fra il patrimonio accumulato ed i redditi dichiarati dal nucleo familiare di Marotta fra il 1997 ed il 2012. Sulla base di tali presupposti, si è pertanto proceduto al sequestro delle società: la Sagid sas, la Edilmar sas, la Edilmar Group srl – tutte con sede a Sciacca, in provincia di Agrigento e proprietarie di impianti di produzione e cave anche a Ribera -, del 50% del capitale della Samar Costruzioni srl (anch’essa di Sciacca) nonché di autovetture e disponibilità finanziarie. Il patrimonio sequestrato sarà ora gestito dall’Amministratore giudiziario nominato dal Tribunale di Agrigento.