Mafia, sequestrato l’impero dei supermercati Gm L’ombra del clan Cappello nel settore alimentare

Pane e porchetta, supermercati e l’ombra della mafia. Sono i tre passaggi che avrebbero caratterizzato, secondo gli inquirenti, la scalata imprenditoriale di Michele Guglielmino. Pluripregiudicato ma non per fatti di mafia, 48 anni, è comunque considerato orbitante nella cosca mafiosa dei Cappello-Bonaccorsi. Adesso Guglielmino è finito al centro di un provvedimento di sequestro preventivo disposto dal tribunale di Catania ed eseguito dalla divisione anticrimine e dagli agenti della squadra mobile etnea. Nel mirino beni per un valore complessivo di 41 milioni di euro in cui spiccano 13 supermercati della catena Gm, acronimo di Grande mangiare. I punti vendita, che restano operativi, si trovavano dislocati tra Catania città e i territori di Mascalucia, Gravina di Catania e Misterbianco. Un piccolo colosso del settore alimentare che conta in organico 120 dipendenti, con il relativo indotto, e un fatturato di decine di milioni di euro. Adesso a occuparsi di tutto saranno gli amministratori giudiziari incaricati dalla sezione misure di prevenzione del tribunale.

Guglielmino, conosciuto nell’ambiente criminale con l’appellativo di Michele da Gesa, al suo attivo ha alcune condanne per stupefacenti. Secondo gli inquirenti potrebbe essere stata la droga la principale fonte dei suoi introiti economici, poi riciclati nei supermercati. La sua scalata è iniziata nel 2004, con l’apertura di un discount (chiamato Gesa) e di una panineria nel rione popolare San Giorgio. In pochi anni Guglielmino è riuscito a garantire una crescita dei fatturati a doppia cifra. In mezzo ombre, arresti e condanne. Come quella per il favoreggiamento aggravato della latitanza di Angelo Cacisi, elemento di vertice proprio dei Cappello-Bonaccorsi. Guglielmino è stato anche arrestato e poi assolto per associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione Ramazza del 2004. Negli anni successivi le inchieste per droga Clapton e Night life. Con il sequestro di oggi per lui è stata chiesta anche l’applicazione della misura della sorveglianza speciale.

Nel materiale probatorio degli inquirenti sono finite anche alcune intercettazioni che hanno come protagonista Guglielmino. Colloqui risalenti al 2004, quando l’uomo apriva la sua prima panineria. Al telefono con lui, il 21 dicembre 2004, c’è Carmelo Salvo (non imparentato con la storica famiglia del clan Cappello, ndr). Lo stesso giorno viene arrestato dalla polizia con 50 grammi di cocaina. «Ho visto la panineria ed è la fine del mondo», commentava. «Come siamo combinati?», gli chiedeva Guglielmino. «Me lo fai mangiare il panino?», replicava Salvo. Parole che, secondo i vertici della polizia, farebbero trapelare affari loschi.

Per costruire la sua galassia di attività Guglielmino si sarebbe avvalso della complicità di alcune presunte teste di legno. «In particolare i suoi familiari», spiega il dirigente Antonio Salvago. Al figlio, Giuseppe Michael Guglielmino, era intestato un rifornimento di carburante, attualmente non operativo, al civico 396 del viale Mario Rapisardi. Ci sono poi gli appezzamenti di terreno nel territorio di San Pietro Clarenza e un villino di cinque vani a Catania. L’elenco si arricchisce anche di beni mobili: una macchina Renault Clio, un’autovettura Opel Adam e una Smart For Two e due motociclette.

«Si tratta di un’indagine esaustiva e puntuale – spiega Ferdinando Buceti, dirigente del reparto anticrimine della polizia -. Noi cerchiamo di rendere un servizio all’imprenditoria sana di questa città, ammesso che ancora esista». Un commento tagliente, seguito dalle parole del nuovo questore Alberto Francini, alla sua prima uscita pubblica: «Sicuramente c’è ancora una parte onesta nel settore imprenditoriale di questa città».

Intanto il difensore di Michele Guglielmino, l’avvocato Salvatore Cannata, precisa tramite una nota che «procederà a dimostrare come i beni oggetto del
presente sequestro siano di provenienza assolutamente lecita. A fronte di una dichiarazione dei redditi non sufficiente a supportare l’investimento economico, Guglielmino e i suoi famigliari – aggiunge – hanno avuto accesso ai tradizionali canali di credito assolutamente leciti, sottoscrivendo rapporti finanziari con diversi istituti creditizi ottenuti regolarmentei fino a oggi sconosciuti tanto alla questura che al tribunale decidente». 


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