Secondo i giudici d'Appello il re del movimento terra «era oggetto di una richiesta estorsiva» da parte dei clan. E «non si può ritenere raggiunta la prova dell'associazione o del concorso esterno». Vincenzo Basilotta, morto un anno fa, è stato condannato in primo e secondo grado. Sentenze poi annullate in Cassazione
Mafia, restituiti agli eredi i beni di Basilotta «Appartenenza a Cosa nostra non provata»
«Era oggetto di una vera e propria richiesta estorsiva» da parte di Cosa nostra e «non si può ritenere raggiunta la prova dell’appartenenza o del concorso esterno» alla mafia. È con queste parole che i giudici della corte d’Appello di Catania stabiliscono la restituzione agli eredi – come richiesto dagli avvocati Carmelo Peluso e Vito Branca – dei beni sequestrati all’imprenditore Vincenzo Basilotta, morto l’11 maggio dell’anno scorso. Secondo i magistrati, «non sussiste il presupposto necessario per la confisca di prevenzione», che era stata emessa in applicazione della normativa antimafia.
Basilotta, imprenditore di Castel di Iudica, è stato ribattezzato il re del movimento terra. È stato condannato a tre anni di carcere per associazione mafiosa nel corso del processo Dionisio. Nel secondo grado di giudizio, la pena era arrivata a cinque anni, che erano poi stati annullati dalla Cassazione. Il nome di Vincenzo Basilotta è stato più volte affiancato a quello dell’ex presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo.
All’imprenditore iudicese sono stati affidati i lavori di ristrutturazione e costruzione di una piscina nel 2003 nella casa in campagna del governatore, a Ramacca. Secondo il collaboratore di giustizia Paolo Mirabile, «Basilotta era un imprenditore amico, perché c’era un rapporto per cemento e subappalti e se c’erano problemi si potevano risolvere all’istante». L’affare d’oro era quello del centro commerciale Etnapolis, che «doveva dare un milione di euro».