Lo scontro tra Angelo Santapaola e Vincenzo Aiello, le prese di posizione del boss Maurizio Zuccaro, un incendio al lido Le piramidi, l’insegna della gastronomia Parlo poco di San Cristoforo crivellata di proiettili e il controllo di alcune cooperative che si sarebbero occupate, nei primi anni Duemila, delle pulizie negli ospedali Vittorio Emanuele e Cannizzaro di Catania. C’è tutto questo nelle carte dell’inchiesta che dallo stabilimento balneare di viale Kennedy prende il nome, allargandosi a macchia d’olio su tutto il versante nord-orientale della Sicilia. Seguendo il filo degli affari della poliedrica famiglia Paratore: in particolare di Antonino (classe 1947) e Carmelo (classe 1981), padre e figlio, accusati di appartenere a Cosa nostra, gestori di colossi del settore dei rifiuti pericolosi in grado di fare arrivare nella discarica di Melilli pure il polverino dell’Ilva di Taranto. Un’ascesa imprenditoriale che, secondo la magistratura di Catania, è avvenuta all’ombra della corruzione e della mafia. «Nino Paratore è un imprenditore di Maurizio Zuccaro»: non una vittima, bensì una sorta di «socio». In un business che coinvolgerebbe anche il figlio di quest’ultimo, Rosario (classe 1982).
Secondo il pentito Santo La Causa, il compito di Paratore senior sarebbe stato di ripulire il denaro illecito che Zuccaro, boss classe 1961 detenuto a Milano, vicino a Nitto Santapaola e Pippo Ercolano, avrebbe avuto a disposizione. Per la procura etnea, il binomio Paratore-Zuccaro comincia nei lontani anni Novanta, ma arriva alla playa di Catania nel novembre 2003. Quando Giuseppe Platania (figlio di Salvatore ‘u salaru, marito di Vittoria Zuccaro, sorella di Maurizio) diventa proprietario del 32 per cento delle quote della Varadero beach snc, un’impresa che nasce con l’obiettivo di prendere in gestione l’ex lido Albatros, che presto dovrebbe cambiare nome e insegna. Pochi mesi dopo, prima dell’inizio della stagione balneare, gli altri soci si tirano fuori, e resta tutto in mano a Platania. Non passano neanche due settimane che a rilevare il 75 per cento delle quote del giovane nipote di Zuccaro è Carmelo Paratore assieme ad altri due soci, nessuno dei quali coinvolto nell’inchiesta: Santo Calanna, che per la magistratura è dipendente delle aziende dei Paratore; e Giancarlo Cristaudo, già amministratore legale della Poco loco srl (da cui il nome dell’omonimo ristorante, ormai chiuso, ad Aci Castello) e, in base alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Viola, «uomo di Zuccaro».
La storia della Varadero beach si chiude poco dopo: a novembre 2004, di nuovo assieme a Calanna, Carmelo Paratore fonda Le piramidi srl. Azienda di cui prima diventa comproprietaria la madre del rampollo, estromettendo Calanna, e che poi passa sotto l’egida della Paratore srl, di proprietà di Nino. Nel frattempo, nel 2006, il rogito viene firmato e il lido Albatros lascia il posto al Le piramidi. La ristrutturazione è imponente: costa tra i 700 e gli 800mila euro. Per pagare la giornata ai muratori serve andare a prendere i soldi al supermercato, quello di Maurizio Zuccaro. Ed è sempre lui, racconta l’architetto che li ha realizzati, a volere valutare i progetti per rimettere a nuovo quel tratto di litorale. «Deve ritenersi che nella costituzione del lido – scrive la giudice per le indagini preliminari Giuliana Sammartino – siano confluiti i proventi deIl’organizzazione mafiosa Santapaola». Sebbene non sempre in modo sereno: diversi ex mafiosi che hanno scelto di collaborare coi magistrati raccontano che la presunta scelta di Zuccaro di gestire da solo i rapporti con Nino Paratore avrebbe causato le ire di Angelo Santapaola. «Ha mangiato tutte le cose della famiglia e ha pensato solo per lui», avrebbe detto il cugino di Nitto a proposito di Maurizio Zuccaro. Ma a vincere la disputa tra i due vertici di Cosa nostra catanese sarebbe stato quest’ultimo: i corpi di Angelo Santapaola e Nicola Sedici vengono ritrovati carbonizzati a Ramacca, a settembre 2007.
La «indubbia familiarità tra le famiglie Zuccaro e Paratore» avrebbe spinto l’imprenditore residente a Cibali, patron della discarica della Cisma spa adesso sequestrata, ad accettare di diventare padrino di battesimo della figlia piccola di Zuccaro, nata nel 2004. «Il suo patrozzo cosa le ha regalato?», chiede il boss nel 2014, poco dopo il compleanno della bambina, durante un incontro con la moglie nel carcere milanese dov’è recluso al 41 bis. «I soddi», risponde la consorte. Alla bimba appena decenne sarebbero arrivati cinquecento euro. Anche i figli maggiori dei due uomini sono in buoni rapporti: Carmelo Paratore è testimone di nozze di Rosario Zuccaro, spesso lavorano insieme. E si vogliono bene: «’Mpare, questa sera immancabilmente, caschi il mondo, se tu sei disponibile vengo a vedere il bambino». È luglio del 2014, non si sentono da un po’ di tempo: nel processo Iblis è stato sentito come testimone Nino Paratore, e la famiglia ha appreso così di essere sotto controllo. Ma il figlio di Rosario è appena nato e Carmelo, a bordo della sua Bentley, registra un messaggio audio all’amico per comunicargli una visita. Questo evento, come precisa la giudice, «di per sé non costituisce reato». L’intestazione fittizia di beni, che invece viene contestata, sì.
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