Il sequestro delle cinque imprese riconducibili al 46enne Valerio Longo, cugino dei capimafia, ha portato alla luce il business che la famiglia di Gela avrebbe avuto nella gestione della manodopera altamente specializzata. L'obiettivo sarebbe stato quello di arrivare anche all'estero grazie ai contatti con società svizzere
Mafia, operai dei Rinzivillo nelle principali raffinerie Prestanomi per gli affari da Augusta a Tempa Rossa
Andava a trattare l’assunzione degli operai a bordo di una Maserati. Si presentava così alle società che gestiscono i più importanti impianti petroliferi il 56enne Giuseppe Guaia, titolare della G.L. Costruzioni srl, una delle cinque società poste sotto sequestro nei giorni scorsi dal personale della Direzione investigativa antimafia di Caltanissetta, perché ritenute sotto controllo dei Rinzivillo, clan di Cosa nostra originario di Gela, ma da anni attivo in tutta Italia, con affari in diversi settori e anche fuori dai confini nazionali. Al vertice della famiglia ci sarebbe stato Salvatore, il più piccolo di tre fratelli, subentrato alla guida della cosca in seguito alle carcerazioni di Antonio e Crocifisso. Questo fino a inizio ottobre, quando è stato arrestato in un’operazione che ha portato in manette oltre trenta persone.
Guaia avrebbe agito per conto di Valerio Longo, 46enne marito di Monica Rinzivillo, quest’ultima cugina di secondo grado di Salvatore Rinzivillo. Attraverso Guaia l’obiettivo sarebbe stato quello di allontanare le attenzioni della polizia dai Rinzivillo e dai loro cugini (Longo e la moglie). Nel frattempo le società sarebbero state capaci di trattare con stabilimenti del calibro di Augusta, Priolo, Milazzo, ma anche di Livorno e quelli di Tempa Rossa e Viggiano, in Basilicata. In tutti questi casi i gestori degli impianti sarebbero stati all’oscuro di chi rappresentasse davvero Guaia. Le sue imprese e quelle di altri presunti prestanome potevano contare su centinaia di lavoratori, affrontando anche i costi del loro trasferimento e pernottamento, avrebbero avuto contratti da centinaia di migliaia di euro e sarebbero state in contatto con società svizzere. Collegamenti che, nell’intenzione dei titolari, avrebbero dovuto portare a estendere gli affari anche all’estero.
L’interesse a utilizzare prestanomi – oltre a Guaia, sarebbero tali anche il rumeno Roman Vasile e Francesco Cardizzone – sarebbe derivato da un motivo ben preciso, che va oltre il rapporto di parentela dei due coniugi con i Rinzivillo: Longo e consorte, infatti, hanno alle spalle condanne definitive per associazione mafiosa. I due furono arrestati a fine 2006 nell’ambito dell’operazione Tagli pregiati, da cui è derivato un processo che per Longo e Rinzivillo si è concluso con il patteggiamento. Ammissione di colpevolezza e pena concordata tra le parti anche a maggio 2012, dopo che la coppia era finita coinvolta nell’inchiesta Tetragona, in cui Longo è stato ritenuto responsabile di associazione mafiosa ed estorsione aggravata in concorso con il cugino Crocifisso. L’uomo, inoltre, è attualmente sotto processo per possesso d’arma da fuoco, con l’aggravante di favorire Cosa nostra, nell’ambito del processo Malleus. Il 46enne è ritenuto da diversi collaboratori di giustizia luogotenente a Gela dei cugini acquisiti. Così come la moglie che è stata definita «persona di incondizionata fiducia».
A partecipare agli affari sarebbe stato pure il 47enne pregiudicato Cristoforo Palmieri, risultato tra i soci della MSG Costruzioni. La società – stando ai riscontri della Dia – sarebbe stata creata in concomitanza alla decisione di concludere l’esperienza della MSG Metal, formalmente guidata da Vasile. I sigilli hanno riguardato anche l’intero capitale sociale di Rn Saldatura, intestata a Monica Rinzivillo, e Tecnomed. Tutte le imprese erano state già raggiunte da un provvedimento di sequestro preventivo, tra fine maggio e la prima metà di luglio del 2017. Sul conto dei coniugi Longo, gli investigatori stanno continuando a lavorare. Al momento non si esclude che parte delle somme che gli impianti petroliferi pagavano per retribuire gli operai possa essere stata usata per foraggiare i clan. Ad alimentare questo sospetto sarebbero anche le contabilità tenute dalle ditte, considerate dagli investigatori «assolutamente inattendibili».