L'ultimo segnale riguarda uno sconfinamento di un gregge all'interno della concessionaria, non ancora aperta, in viale Regione. «La struttura era rimasta chiusa da tre anni, e non era mai successo». Intanto si conclude con l'assoluzione il sequestro di una villa a Casteldaccia, appartenuta al boss Aiello e acquistata da Calì nel 2013
Mafia, nuove intimidazioni all’imprenditore Calì «Non ci scantiamo, questo è un luogo simbolo»
Sulla tangenziale di Palermo le pecore non si erano mai viste. Almeno fino a ieri, quando sono state avvistate all’interno di un autosalone. Non uno qualunque, però. Calicar è la concessionaria d’automobili in viale Regione Siciliana, nei pressi dello svincolo di Bonagia, che vuole dare un chiaro segnale di legalità. Ad avviare il sogno è l’imprenditore Gianluca Calì, che ha denunciato nel 2011 i suoi estortori. E che tra mille difficoltà sta provando a rilanciarsi in Sicilia, dopo aver vissuto per anni a Milano. Ma la nuova impresa – è proprio il caso di dirlo – è davvero ostica. Deve ancora aprire, ma le intimidazioni già non mancano. L’autosalone non piace a parte del quartiere. Calì racconta che in questi giorni più volte alcune persone si sono avvicinate gridando offese, mostrando il dito medio, scrutando più e più volte con fare minaccioso all’interno dei locali.
Poi, ieri, l’episodio delle pecore. «In tre anni che la struttura era rimasta chiusa non era mai successo» dice l’imprenditore. Il vasto spazio in viale Regione, infatti, era rimasto chiuso fino al mese scorso, dopo il sequestro per ricettazione e riciclaggio nel corso dell’operazione New Life. A maggio si è invece concretizzato il passaggio in affitto dall’amministrazione giudiziaria alla gestione privata di Calì, che qui intende avviare un’attività commerciale in piena regola proprio per lanciare il messaggio che la mafia si sconfigge a partire dai suoi stessi (ex) terreni. «Questo è un luogo simbolo – aggiunge l’imprenditore -. Noi non ci scantiamo. Le pecore che sono arrivate ieri sono state evidentemente condotte qui. Sono entrate dentro i nostri spazi, e abbiamo fatto un bel po’ di fatica per allontanarle e ripulire tutto. Per questo vorrei però che la prefettura si attivasse. Con la videosorveglianza, ad esempio, oppure mandando periodicamente una volante che farebbe capire come lo Stato c’è, è presente e tutela i suoi cittadini».
Anche perchè Calì ha scelto di non abbassare i toni. E ha collocato all’ingresso dell’area di vendita due espliciti cartelloni. Sul primo si legge che «ho aperto una nuova attività e vorrei fosse chiaro che mai e poi mai pagherò nulla che non siano le tasse allo Stato Italiano. Per cui se qualcuno ha intenzione di venire a chiedere qualcosa per i carcerati o le loro famiglie, o ancora per pagare gli avvocati o qualcosa del genere, sappia che deve andare al diavolo. Io non pago». Accompagnato dall’hashtag #mafiamerda. Sul secondo, invece, ripercorre le vicende che lo hanno visto protagonista. A partire da quella denuncia di sette anni fa e che ha dato vita a quelle che lui eufemisticamente definisce «azioni consequenziali».
E qui l’elenco si fa lungo: minacce telefoniche in piena notte, danneggiamenti, auto incendiate, perfino il sequestro di una villa vicino Casteldaccia. Che era stata di proprietà del padrino di Bagheria Michele Aiello. Due piani, da 160 metri quadrati l’uno, in cui Calì avrebbe voluto avviare una struttura turistico-ricettiva. L’immobile va all’asta nel 2013, e ad aggiudicarsi la gara è proprio l’imprenditore. Poco dopo, però, scatta per lui il sequestro per abusivismo edilizio. Una vicenda lunga cinque anni e che si è conclusa soltanto ieri, con l’assoluzione da parte del giudice Giuseppina Turrisi perchè il “fatto non sussiste”.
«Il pentito Antonino Zarcone – si legge nel secondo cartello all’ingresso di Calicar – racconta che i mafiosi locali, venuti a sapere dell’acquisto di un capannone ad Altavilla Milicia per l’apertura dell’autosalone (dopo l’incendio appiccato a Casteldaccia), lo volevano contattare per vedere di farlo mettere in regola e “fargli uscire qualcosa di soldi”, ma “questo non voleva sentire nulla di pagare estorsioni o di uscire soldi per quanto riguarda il mantenimento dei detenuti”. Lo stesso Zarcone dà il consiglio di “stare attenti a questo personaggio in quanto era facile a denunziare e di starci con le pinze”. Viva lo Stato, abbasso la mafia».
In vista dell’apertura della nuova attività Calì ha scelto poi di farsi affiancare da Daniele Ventura, il giovane di Brancaccio che ha dovuto chiudere la propria attività a Borgo Vecchio, nel 2012, dopo aver denunciato anch’egli i propri estorsori. Ventura ha scelto di raccontare la propria vicenda in un libro, intitolato Cosa nostra non è cosa mia, e presentato nella giornata di ieri alla Feltrinelli. Un incontro a tratti toccante, e che ha visto una partecipazione numerosa. E in cui il deputato all’Ars Giancarlo Cancelleri si è impegnato ad avviare una proposta di legge per supportare chi si ribella al racket, attraverso strumenti concreti come la sospensione dei debiti contratti a seguito delle denunce. In attesa, intanto, che Calicar veda la luce. «Tutto pronto, questione di qualche giorno» rassicura Calì.