Sorvegliante di cantiere diventato titolare di un impero che opera nel settore della raccolta della spazzatura. Oltre alle due ammiraglie - Geo ambiente e Clean up - a Giuseppe Guglielmino sono stati confiscati beni per 12 milioni di euro. Guarda il video
Mafia, l’impero dei rifiuti di Guglielmino va allo Stato Confiscato il patrimonio del re Mida della munnizza
Sorvegliante di cantiere diventato re dei rifiuti. Così ricco da potersi permettere di rivendicare anche le proprietà del padre Vincenzo, morto lo scorso anno, anche lui imprenditore della spazzatura. Giuseppe Guglielmino, pregiudicato e attualmente in carcere, non è uno qualunque. E adesso lo Stato è riuscito a mettere le mani su quell’impero tramite il quale la munnizza diventava oro: la Geo ambiente e la Clean up, le ammiraglie con sede rispettivamente a Belpasso e Motta Sant’Anastasia, sono state confiscate. Così come la ditta individuale Consulting business, la Eco logistica srl (Aci Sant’Antonio), la Eco business srl (Siracusa) e la Work uniform srl (Catania). Il provvedimento di confisca – del valore di circa 12 milioni di euro – è stato disposto dalla sezione Misure di prevenzione del tribunale di Catania e arriva dopo l’arresto di Giuseppe Guglielmino a gennaio 2017 (era il blitz Penelope) e il sequestro preventivo ad agosto 2017. L’accusa è pesantissima: essere un uomo del clan Cappello di Catania. Di più: il braccio imprenditoriale della cosca.
«Socialmente pericoloso e abitualmente dedito a traffici illeciti,
chiaramente organico al clan mafioso Cappello, distintosi per la capacità di inserirsi in vari settori dell’economia, specialmente nel delicato settore della raccolta e del trattamento dei rifiuti». Le due imprese principali, di fatto, hanno lavorato alternandosi in diversi Comuni della provincia di Catania. Spesso senza gara d’appalto pubblica (quindi con procedura negoziata) e operando in regime di proroga tecnica per anni. Intascandosi centinaia di migliaia di euro al mese per gestire l’igiene urbana in diversi territori del Catanese. Guglielmino sarebbe poi stato capace di spostarsi in Campania e Calabria, «grazie all’appoggio del clan Cappello, che poteva a sua volta contare sull’interessamento delle famiglie alleate operanti in quei territori».
Secondo l’autorità giudiziaria gli interessi dell’uomo si sarebbero spinti a
Casal di Principe, dove la presunta vicinanza con un gruppo camorristico legato ai casalesi lo avrebbe fatto avvicinare alla possibilità di occuparsi di munnizza pure nel Casertano. In Calabria, invece, la Geo ambiente, tra il 2010 e il 2013, ha ottenuto appalti a Locri e Siderno (provincia di Reggio Calabria), Belvedere Marittimo e San Nicola Arcella (provincia di Cosenza). Nella Regione al di là dello Stretto, il 28 ottobre 2012 vengono dati alle fiamme due camion della ditta. Per la procura di Catania c’è voluto poco affinché intervenisse il clan Cappello a pacificare i rapporti con le ‘ndrine locali: l’accordo avrebbe previsto di non pagare la «messa a posto» (cioè il pizzo) alla ‘ndrangheta in cambio di assunzioni pilotate e dell’impegno ad accogliere i suggerimenti delle cosche calabresi nella scelta dei luoghi dove acquistare il carburante.
«Le aziende così create – puntualizzano dalla questura – rappresentano un vero e proprio pericolo per l’economia del territorio su cui insistono. Infatti, viste le illecite premesse dell’accantonamento di capitali utili alla costituzione delle imprese, queste rappresentano un grave
vulnus per la corretta concorrenza di settore, escludendo i competitor col potere economico e/o con la diretta o indiretta intimidazione». A Guglielmino sono stati anche confiscati immobili: quattro a Catania, due a Fiumefreddo di Sicilia e uno a Bronte. Ci sono inoltre diverse automobili: un’Audi S3 1.8 Turbo, due Daimler Chrysler, un’Alfa Romeo, una Mercedes, una Fiat Uno, due autocarri (Peugeot e Fiat), un autocarro Unic 190 e due Fiat 500.