Pietro Garozzo, arrestato nel blitz Gorgoni, è accusato di intrattenere stretti rapporti con Massimiliano Salvo, ritenuto capo del clan Cappello. Quest'ultimo si sarebbe interessato in prima persona alla gara per la manutenzione dell'autoparco municipale. Tra i lavoratori, anche il suocero e il cognato dello stesso Salvo
Mafia, le aziende e gli appalti del Comune di Catania La lettera anonima e i parenti del presunto boss Salvo
Una lettera anonima arrivata a Palazzo degli elefanti a ottobre 2016 raccontava tutto. E molto di più. Pietro Garozzo, a lungo responsabile del personale per le ditte che – avvicendandosi – gestiscono la manutenzione dei mezzi della nettezza urbana del Comune di Catania, è stato arrestato la scorsa settimana nel blitz Gorgoni della procura. Accusato di associazione mafiosa, gli investigatori lo definiscono «l’anello di collegamento tra gli imprenditori, la criminalità organizzata e la pubblica amministrazione». Sufficientemente organico al clan Cappello da potersi permettere di partecipare alle riunioni per conto del presunto boss Massimiliano Salvo. E da potere discutere con l’imprenditore Vincenzo Guglielmino (titolare della ditta Ef servizi ecologici arrestato anche lui, sempre per mafia) «della possibilità di fargli acquisire il servizio di manutenzione dell’autoparco del Comune di Catania». Operazione che sarebbe stata guardata con interesse dallo stesso Massimiliano Salvo, che nell’azienda finora appaltatrice ha più di un parente: Rosario e Fabio Antonio Rapisarda, rispettivamente suocero e cognato. Quest’ultimo ha lasciato il posto di lavoro da poco: da quando, cioè, a luglio 2016 è stato arrestato con l’accusa di essere parte di un sistema di staffette che trasferivano a Catania otto chili di cocaina. Al dettaglio, il valore della droga sarebbe stato di due milioni di euro.
Dal 2002 il servizio di manutenzione dei mezzi che raccolgono la spazzatura nel territorio etneo non ha subito particolari cambiamenti. Almeno in relazione alle imprese che se lo sono aggiudicato. Fino al 2013 è la società Puntese diesel, che integra i 38 lavoratori della Manutencoop che avevano svolto il compito in precedenza. Tra loro c’è Pietro Garozzo, assunto nel 1997 come addetto al lavaggio dei cassoni, che scala le gerarchie della società fino ad arrivare, nel 2009, a coordinare il personale impiegato nella struttura di Pantano d’Arci per conto del Comune etneo. Tra i suoi collaboratori c’è Rosario Rapisarda, da qualche anno imparentato con il rampollo della famiglia Salvo. Il giovane è figlio del capomafia Pippo ‘u carruzzeri, e si trova adesso al 41 bis nel carcere di Novara. È passato alle cronache per l’annacata della candelora degli Ortofrutticoli nei pressi della sua abitazione durante la festa di Sant’Agata del 2015.
È nel 2011 che le cose, per Garozzo, si complicano. Un’inchiesta del nucleo operativo ecologico dei carabinieri lo coinvolge direttamente: la procura di Catania apre un fascicolo per associazione a delinquere e truffa ai danni dello Stato. Nell’occhio del ciclone finiscono le timbrature dei lavoratori, necessarie a stabilire gli orari delle loro prestazioni. È infatti sulla base dell’effettivo monte ore dei dipendenti impiegati nello svolgimento del servizio che vengono definiti i pagamenti alla società Puntese diesel. Nell’ambito di questo procedimento, Garozzo viene indagato assieme ad altri due colleghi. Tra i quali un operatore che, la mattina del controllo del Noe, avrebbe portato via la macchinetta per passare i badge, per impedirne il sequestro da parte dei militari. Nel 2012, intanto, c’è da preparare la nuova gara d’appalto per il servizio di manutenzione dei mezzi per la raccolta dei rifiuti del Comune di Catania. A occuparsene è l’allora dirigente Annamaria Li Destri, contro la quale Garozzo ingaggia un conflitto serrato. Prima tramite il sindacato Fiadel – a cui Garozzo aderisce – e poi nelle aule del tribunale di Catania, dove Li Destri – nel frattempo licenziata per presunti favoritismi proprio alla Puntese diesel – è adesso imputata.
La società che sarebbe stata favorita, intanto, cede il ramo d’azienda deputato all’appalto etneo a una nuova ditta, la Officine meccaniche. In cui va a lavorare il nuovo Fabio Antonio Rapisarda, figlio di Rosario e cognato di Massimiliano Salvo, assunto per colmare le mancanze di alcune unità tra pensionamenti e malattie. Così nel 2013 si ritrovano, in officina a Pantano d’Arci, molti degli uomini vicini al presunto capo del clan Cappello: Garozzo e i due Rapisarda. La situazione rimane quasi del tutto inalterata fino a luglio 2016. Sono i primi giorni del mese quando, a seguito di un inseguimento notturno, Rapisarda jr viene arrestato con l’accusa di trafficare droga.
Bisogna aspettare gennaio 2017 perché la situazione del giovane Rapisarda, detto ‘u ddummisciutu, si aggravi: associazione mafiosa, contestata nell’ambito dell’inchiesta Penelope contro il clan Cappello. E, in particolare, contro il presunto nuovo reggente: il marito di sua sorella, Massimiliano Salvo, di cui lui è considerato «stretto collaboratore», addetto alle riscossioni del racket e autista. In diverse occasioni è alla guida di un’auto intestata a Giuseppe Guglielmino (figlio di Vincenzo della Ef servizi ecologici), anche lui ritenuto affiliato alla cosca. Mentre discute con il cognato di una presunta richiesta di pizzo, è Rapisarda a suggerire a Salvo il comportamento da tenere nel caso in cui una vittima pensasse di rivolgersi alle forze dell’ordine o chiedesse la protezione di qualcun altro: «Appena senti odore che quello può nominare le guardie e ti nomina a un altro… “Mi difende un altro”… Tu lo devi ammazzare a botte», si legge in un’intercettazione.
Prima dell’ultima accusa nei confronti di Fabio Antonio Rapisarda, a ottobre 2016, qualcuno decide di accertarsi che l’amministrazione sappia delle ombre che ruotano attorno ai lavoratori dell’impresa appaltatrice per il Comune. Una lettera anonima, di cui MeridioNews è in possesso, viene recapitata a Palazzo degli elefanti e viene protocollata. Dentro ci sono i rapporti tra Pietro Garozzo e Massimiliano Salvo – accertati dalla magistratura solo alcuni giorni fa -, le parentele di quest’ultimo coi Rapisarda, e il loro ruolo di dipendenti nell’azienda pagata per il servizio in città. Ma c’è anche un ulteriore riferimento: la frequentazione dell’officina di Pantano d’Arci, sempre al seguito di Pietro Garozzo, da parte di Francesco Palermo e Nicola Lo Faro.
Due esponenti di spicco della mafia etnea – legati a Pippo Garozzo, ‘u maritatu, capomafia dei Cursoti – freddati nel 2009. Frequentazione, quella dei due con Pietro Garozzo negli uffici dell’autoparco comunale, di cui questa testata ha avuto conferma. Così come dei più recenti incontri, nei pressi di piazza Dante, tra Massimiliano Salvo, suo suocero Rosario Rapisarda e il dipendente Garozzo. Ombre che si addensano alla luce delle conversazioni – avvenute tra gennaio e ottobre 2016 – in cui la gestione dell’autoparco comunale viene discussa tra i presunti esponenti dei Cappello. Proprio mentre il nuovo bando di Palazzo degli elefanti (valore: tre milioni e 700mila euro) è in lavorazione. Secondo i magistrati, però, Vincenzo Guglielmino non riesce a mettere le mani sull’appalto. Perché la Officine meccaniche cede il ramo d’azienda alla Sicil.car, attuale esecutrice del servizio.