Nelle carte dell'inchiesta Visir, c'è spazio anche per il fastidio degli esponenti della famiglia di Marsala nei confronti di chi, ottenendo appalti pubblici, pareva dimenticarsi di coinvolgere le imprese legate a Cosa nostra. Nonostante i favori ricevuti in passato, in occasione di richieste di pizzo non soddisfatte
Mafia, il risentimento verso gli imprenditori ingrati «Lavora soltanto lui, e poi uno lo deve difendere?»
La spartizione degli appalti al centro dei dissidi tra le due famiglie mafiose che si contendevano il controllo di alcune zone del Marsalese. È quanto emerso dall’operazione Visir messa a segno nei giorni scorsi dai carabinieri portando all’arresto di 14 persone ritenute vicine al boss latitante Matteo Messina Denaro.
Tra loro, Vincenzo D’Aguanno che, nel corso di una cena in un locale, scopre che i lavori di ristrutturazione e costruzione di alcuni immobili di una società ittica sono stati assegnati all’imprenditore Antonio Vanella, senza prima riunire tutti gli affiliati. «Del fatto dell’ittica non mi hanno detto niente», dice D’Aguanno all’imprenditore Michele Lombardo, raccontando quanto appreso durante la serata al ristorante. «Perché a te non ti hanno invitato, giusto? – sottolinea – Tu hai un’impresa. Due, tre imprese e tu non lo devi fare, perché?».
Un tradimento per D’Aguanno, che in passato sarebbe intervenuto in difesa proprio dell’imprenditore dopo che Nicolò Sfraga – l’uomo che avrebbe incontrato Messina Denaro – aveva avanzato una richiesta di pizzo. «Da questo Vanella ci sono andati amici, noi li abbiamo fermati», sbotta D’Aguanno. Prima di concludere la conversazione, D’Aguanno rileva un’altra violazione delle regole interne alla mafia: il riferimento è al comportamento dell’imprenditore Fabrizio Vinci, all’epoca impegnato nella realizzazione di alcuni lavori edili nel porticciolo di Mazara del Vallo.
Vinci aveva chiesto l’aiuto di un soggetto di Marsala per alcune opere di carpenteria, di fatto tagliando fuori dall’affare Michele Lombardo. «Scendendo da là – spiega D’Aguanno – mi sono fermato al porticciolo dove c’è l’amico nostro. Là a Mazara. Ci sta facendo tutte le cose, come si chiama carpenteria». Il risentimento per la mancata riconoscenza è evidente: «Che dobbiamo fare? Ca a sta banna non pensa mai e poi lo devo difendere. Perché?”.