I due uomini che secondo le indagini sarebbero stati alla corte di Filippo Annatelli, ritenuto cap famiglia mafiosa di corso Calatafimi, nel mandamento Pagliarelli. Tra incidenti diplomatici con altri clan, ordini mal digeriti e un discorso avviato sulla successione del capo
Mafia, il dualismo tra i due luogotenenti della droga Uno designato futuro boss, l’altro che «fa ‘nchiappi»
Uno fedele, fidato, devoto alla causa, l’altro anarchico, pasticcione e fuori dagli schemi. Tra i due presunti ministri della droga della famiglia mafiosa di corso Calatafimi non si può dire corresse buon sangue. Il primo, Salvatore Mirino, era il braccio destro di Filippo Annatelli, reggente della famiglia interna al mandamento di Pagliarelli. I due parlavano tantissimo e di ogni cosa. A unirli un rapporto di massima fiducia consolidato nel tempo, nonostante qualche passo falso di Mirino, che aveva generato, secondo quanto carpito dalle cimici degli investigatori, delle frizioni con la famiglia di Palermo Centro, all’interno del mandamento limitrofo di Porta Nuova. Un’incomprensione sulla spartizione dei proventi del pizzo che aveva richiesto addirittura l’intervento di Settimo Mineo, ritenuto capomandamento di Pagliarelli e vertice della neonata nuova commissione provinciale di Cosa nostra.
Il secondo, Enrico Scalavino, detto Muschidda, sarebbe stato un cane sciolto. Scarcerato nel settembre del 2017, pare si fosse subito avvicinato alla compagine che si presume guidata da Annatelli. Ci avrebbe messo poco a prendere i gradi di supervisore della rete degli spacciatori, ma alcuni suoi comportamenti portavano il boss a dubitare in certi frangenti del sodale. Annatelli non sapeva se poteva fidarsi di Scalavino anche per questioni che andavano oltre lo spaccio, se da parte sua c’era la disponibilità a sobbarcarsi anche ruoli di responsabilità interni alla famiglia. «No!… io lo voglio vedere perché voglio capirci chiaro! – diceva Annatelli a Giovanni Cancemi, altro sodale, parlando di Scalavino – voglio capire: “Ma se io mi fermo posso fare affidamento a te?… Oppure tu ti interessi solo di…!” Perché quello è una cosa e quello è un’altra cosa…».
Non solo, più volte Enrico Scalavino avrebbe rischiato di perdere la sua gestione del territorio a causa di una certa ritrosia nel rispettare le regole. Ritrosia che sarebbe arrivata quasi al punto di creare incidenti diplomatico ancora una volta con i vicini di casa di Palermo Centro, territorio in cui Scalavino pare si rifornisse di droga per il suo approvvigionamento. «È messo alla via Paruta che fa nchiappi (cavolate, ndr) cose… io ci volevo parlare ultimamente a lui», segnalava ancora Cancemi ad Annatelli. «Sì, però c’era un accordo – la risposta del reggente – e lui andò a finire che se la va a prendere da un’altra parte e quelli vengono e mi vengono a dire: “Ma non c’era un accordo che… che si doveva fare… che se la doveva prendere da me?». In filigrana si legge anche una certa insoddisfazione da parte del capofamiglia, che cerca di imporre al proprio sottoposto di non approvvigionarsi dai fornitori all’interno della famiglia di Palermo Centro.
Un comportamento fuori dalle righe, quello di Scalavino, che non piaceva allo storico braccio destro del capo, che non lesina critiche nei confronti del presunto collega. «Perché Enrico un ammasso di confusione – racconta ad Annatelli il fidato Salvatore Mirino a tuo figlio gli ha detto: “gli dici a tuo padre che gli do un bacio in bocca” … non te l’ha detto?… È scimunito questo… è il cervello, mi pareva a me che questo».
Una rivalità, quella tra Mirino e Scalavino, che andava tuttavia ben oltre l’organizzazione del traffico degli stupefacenti. Pare infatti che all’interno della famiglia nulla fosse lasciato al caso e si fosse cominciato già a inizio 2018 a ragionare sul nome del possibile successore di Annatelli alla guida della famiglia qualora quest’ultimo fosse arrestato. Una lotta per la poltrona che Mirino sentiva in maniera particolare visto che, secondo quanto scoperto dagli investigatori, Mirino avrebbe temuto che una volta mancato l’uomo forte, allora le decisioni avrebbero potuto coinvolgere persone provenienti dall’esterno o ancora peggio, che l’onore sarebbe ricaduto sulle spalle del rivale Scalavino.
Timori, quelli di Mirino, che hanno spinto il reggente Annatelli a lasciarsi andare addirittura a una confidenza in cui designava l’uomo ritenuto il suo braccio destro come suo naturale successore. «Totò fammi … ti do la cosa a te …» confessa Annatelli durante un dialogo con Mirino. «Lascialo stare … non parlo di me Filì …» ribatte il sodale, ma Annatelli continua: «Lo sanno che ci sei tu … ed io ci credo … mi fai stare tranquillo … io nel momento che troverò opportuno e ne parlerò… gli dico sempre: “Per me … di altri! … volete prendere altri! … Li prendete perché non vi posso dire niente!” … gli ho detto … “… però per me l’unico può gestire la situazione qua … ».
Piani saltati dopo che i tre: Annatelli, Mirino e Scalavino sono finiti in manette insieme nell’ambito dell’operazione Cupola 2.0, così come sempre insieme sono finiti, seppure già in carcere, tra le maglia dell’operazione dei carabinieri messa a segno ieri mattina, con l’emersione e la decapitazione di tutto il giro di droga all’interno del mandamento e della famiglia di corso Calatafimi.