Una trattativa orchestrata grazie a intermediatori in Lombardia e la convinzione di avere trovato una «strada d'oro». A dicembre 2017, gli uomini della cosca adranita legata ai Santapaola compiono un viaggio verso il profondo nord. Ma si rivelerà un fallimento
Mafia, gli assalti ai bancomat per l’eroina degli albanesi Fibrillazione natalizia per gli uomini del clan Santangelo
«Ero senza soldi, ci siamo fatti un paio di bancomat. Ma tutto loro hanno preso, con cinquecento euro mi hanno mandato a casa». Tra chi bazzicava il clan Santangelo, il Natale non per tutti era uguale. Dalle carte dell’inchiesta che ieri ha portato all’arresto di 35 persone ad Adrano, si capisce in maniera chiara come la forma criminale di welfare state assicurato dalla mafia ai propri seguaci faccia comunque figli e figliastri. Anche quando si rischia alla stessa maniera. Come nel caso del 38enne Roberto Leonardi, finito ai domiciliari per avere preso parte a una serie di colpi messi a segno dal gruppo legato alla famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano. «L’ultimo chiodo della naca (culla, ndr)», si definisce parlando con un amico e descrivendo ciò a cui aveva assistito la sera di santa Lucia del 2017. Ovvero l’assalto alla filiale Credem di Adrano.
Quel colpo, che a Leonardi aveva procurato qualche centinaio di euro buoni per un po’ di sfarzo natalizio, al clan era servito per raccattare le somme da investire in una partita di droga in Lombardia. A dispetto delle temperature, quelli sono giorni caldi per il gruppo guidato da Giannetto Santangelo. Grazie alla presenza nel Comasco del familiare di un affiliato, il clan era riuscito a instaurare una trattativa con Ermir Daci, narcotrafficante che originario di Tirana, la capitale dell’Albania, ma da anni attivo in Italia. L’uomo sarà arrestato pochi mesi dopo insieme a un connazionale, per essere stato trovato in possesso di 25 chili di eroina. Ed è proprio alla «nera» che gli adraniti puntavano per rifornire le piazze di spaccio locale, oltre che alle più comuni marijuana e cocaina.
Quando mancano poco più di 48 ore al cenone, a partire per il profondo Nord sono in quattro: Tony Scarvaglieri, Antonino Bulla, Federico Longo e David Palmiotti. Il primo è l’uomo che poco prima aveva conquistato la ribalta mediatica per avere definito «morto che cammina» Valerio Rosano, esponente del clan da poco passato a collaborare con la giustizia. Nei confronti di Rosano furono affissati necrologi per le strade della città, attirando l’attenzione della trasmissione Striscia la Notizia. Il 22 dicembre Scarvaglieri e gli altri partono a bordo di due auto e portando con sé circa 25mila euro. Cifra non da poco ma ampiamente giustificata dal potenziale ritorno al momento di immettere le oltre 11mila dosi di eroina sul territorio. Ad attenderli c’erano gli assuntori. Bulla fa sapere loro di dover pazientare qualche giorno ancora, sicuro che ne sarebbe valsa la pena. Per tutti. «Cugino, abbiamo una formula uno! L’ho fatta uno a uno (descrive il taglio, ndr) ed è rimasta una bomba – scrive Bulla a Santangelo, rimasto in Sicilia ma costantemente aggiornato – Se la vendiamo a 80 euro come ti ho detto, facciamo cinquemila euro al giorno. Qua, chi l’ha provata sta impazzendo».
La volontà del gruppo era quella di creare un canale solido tra Adrano e Turate (Como). «Mi sto prendendo il contatto. Ogni mese saliamo, è una strada d’oro», dice entusiasta Bulla. Le cose, però, vanno diversamente, almeno in quel caso. A monitorare il viaggio di ritorno è infatti anche la polizia che, poco prima dell’imbarco da Villa San Giovanni, ferma l’auto guidata da Palmiotti. L’uomo è da solo. Gli altri tre, infatti, avevano deciso che sarebbe stato lui a trasportare la droga e, di conseguenza, a rischiare l’arresto. E così sarà: gli uomini della Squadra mobile non impiegano molto per trovare i panetti di eroina nascosti vicino alla ruota di scorta. «Lo butto questo telefono?», chiede Bulla a Santangelo, dopo averlo informato di ciò che era accaduto a Palmiotti. «Che devi fare… a quest’ora ci hanno anche sentito», è la risposta.
I traffici con la droga, tuttavia, non si sarebbero di certo interrotti qui. Per i magistrati della procura etnea, gli interessi del clan Santangelo nel mondo degli stupefacenti sarebbero stati fortissimi. Così come l’esigenza di racimolare le somme da investire. Furti di vetture e motocicli e assalti ai bancomat, i mezzi per ottenerle. In tal senso, un altro bersaglio viene individuato nel territorio di Randazzo. Gli uomini del clan, con la collaborazione di alcuni catanesi, tentano più volte di entrare in azione ma il piano salta sempre per la presenza dei carabinieri. A partecipare sarebbe dovuto essere anche Roberto Leonardi, l’ultimo arrivato. All’amico racconta di come tutto fosse pronto. «Siamo andati a rubare il camion e non partiva. Siamo andati a prenderne un altro, rubiamo la motopala. Ci hanno fatto girare una nottata con le macchine rubate», dice Leonardi. Consapevole che a causa dei «carabinieri con le luci accese» si era dovuti rinunciare a un altro bottino. Che, nel suo caso, si sarebbe limitato probabilmente a qualche centinaio di euro.