Cosa Nostra, è morto il boss Bernardo Provenzano Legale: «Da tempo incapace di intendere e parlare»

È morto il boss Bernardo Provenzano. 83 anni, malato da tempo, indicato come il capo di Cosa nostra, venne arrestato dopo una latitanza di 43 anni l’11 aprile del 2006 in una masseria di Corleone, a poca distanza dall’abitazione dei suoi familiari. Era irreperibile dal 1963. Con Totò’ Riina e Leoluca Bagarella è stato uno degli artefici della spietata guerra di mafia che, tra gli anni 70 e 80, ha portato i Corleonesi a diventare egemoni in Cosa Nostra, dopo oltre cinquemila morti ammazzati. Il questore di Palermo, Guido Longo, ha già annunciato che vieterà funerali pubblici. 

Il capomafia era detenuto al regime di 41 bis nell’ospedale San Paolo di Milano. «Le sue condizioni si sono aggravate ulteriormente venerdì scorso a causa di un’infezione polmonare – spiega Roberto Piscitello, direttore generale dei detenuti e del trattamento del ministero della Giustizia -. Provenzano è entrato in coma irreversibile lo stesso giorno. Il regime di 41 bis in nulla ha aggravato lo stato di salute di Provenzano: anzi nei due ospedali in cui è stato detenuto, Parma e Milano, ha ricevuto cure puntuali ed efficaci». Prima di morire il boss ha potuto vedere la moglie e i figli, che hanno raggiunto Milano il 10 luglio, come informa il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Il giorno stesso sono stati autorizzati ad incontrare il loro famigliare. 

L’ultima istanza di sospensione della pena sarebbe stata avanzata dai legali del boss tre giorni fa. Secondo quanto si apprende, però, il tribunale di sorveglianza di Milano l’avrebbe rigettata due giorni fa, motivando la decisione con i possibili rischi per l’incolumità personale nei quali Provenzano sarebbe potuto incorrere dati i «trascorsi criminali» e «trovandosi in condizioni di assoluta debolezza fisica». Intanto è stata disposta l’autopsia sul corpo del boss. Il cadavere, in queste ore, è stato trasferito all’Istituto di medicina legale di Milano. Non è ancora chiaro se la decisione di operare gli esami autoptici derivi da una motivazione specifica.

Già lo scorso anno la sua avvocata, Rosalba Di Gregorio, aveva chiesto di revocare il regime di carcere duro alla luce delle condizioni fisiche: Provenzano era in stato quasi vegetativo. Richiesta che fu respinta dal tribunale di sorveglianza. «Provenzano per me è morto quattro anni fa – commenta oggi la legale – dopo la caduta nel carcere di Parma e l’intervento che ha subito. Da allora il 41 bis è stato applicato ai parenti e non a lui, visto che non era più in grado di intendere e volere e di parlare da tempo».

Il ricorso di Di Gregorio puntava sul «cronico e irreversibile decadimento intellettivo e sulla incapacità di comunicare». Mentre i giudici diedero per acquisito il decadimento cognitivo accertato da diverse perizie, sostenendo però che restava il pericolo di contatti tra il boss e l’organizzazione mafiosa. Per il tribunale «il deficit mentale non esclude in termini di certezza che il boss possa impartire direttive criminali anche attraverso i familiari». Tre Procure avevano espresso parere favorevole alla revoca del carcere duro e tutti i processi in cui era ancora imputato, tra cui quello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, erano stati sospesi.

Durante la detenzione al 41 bis nel carcere di Parma – dove è stato rinchiuso fino ad aprile del 2014 prima di essere trasferito al carcere Opera di Milano – ci sono due episodi ancora non chiariti del tutto. Un presunto tentativo di suicidio avvenuto il 9 maggio del 2012 e un grosso livido alla testa apparso nel dicembre dello stesso anno. In un colloquio con la compagna Saveria Benedetta Palazzolo e il figlio minore Francesco Paolo (video mandato in onda dalla trasmissione Servizio Pubblico), Provenzano afferma: «Pigghiai lignati», per poi concludere «Sono caduto dal letto». Pochi giorni dopo la conversazione, il boss verrà trovato in coma nella sua cella. Nell’ottobre del 2014 la Procura di Parma, dopo un’indagine, affermò che il boss non fu picchiato nel carcere di Parma e che le lesioni erano compatibili con una caduta, e chiese l’archiviazione al gip. 

Provenzano è stato condannato a numerosi ergastoli, tra gli altri per le stragi di Capaci e via D’Amelio in cui morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per gli omicidi del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, del capo della Mobile di Palermo Boris Giuliano, del tenente colonnello Giuseppe Russo, dei commissari Beppe Montana e Antonino Cassarà, del presidente della Regione Piersanti Mattarella, e di Pio La Torre.


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