Il 63enne si trovava nella stessa struttura in cui è morto Antonio Ribecco, considerato esponente della 'Ndrangheta in Umbria. «Non era sottoposto al regime del carcere duro», spiega a MeridioNews l'avvocato. Il suo nome nell'indagine sulla morte di Attilio Manca
Mafia e Covid, i dettagli della scarcerazione di Porcino Condannato per mafia, era nel penitenziario di Voghera
In passato quando già era stato sottoposto alla custodia cautelare aveva fatto entra ed esci dal carcere per una serie di patologie. Adesso, nel pieno dell’emergenza coronavirus e con una condanna sulle spalle, Angelo Porcino è tornato a casa. Sottoposto, da circa 15 giorni, a detenzione domiciliare per il rischio contagio all’interno del penitenziario di Voghera, in provincia di Pavia. La struttura ha il triste primato di avere avuto il secondo detenuto, Antonio Ribecco considerato un esponente della ‘Ndrangheta in Umbria, morto in Italia per coronavirus. Prima di lui era toccato al siciliano Vincenzo Sucato, 76 anni, ma detenuto nel carcere di Bologna.
Porcino, 63 anni, è stato condannato per estorsione aggravata e associazione mafiosa perché ritenuto uno degli affiliati del clan mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto. La sua scarcerazione, così come già avvenuto nel caso del boss Ciccio La Rocca e del palermitano Francesco Bonura, ha lasciato una lunga scia di polemiche. In una situazione già rovente per le proteste nelle carceri dovute a sovraffollamento e rischio contagio. L’ultimo tassello lo ha messo il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria con una circolare di una pagina, inviata a tutti gli istituti il 21 marzo, per censire i detenuti over 70 – compresi quelli sottoposti al regime del 41 bis – affetti da una serie di patologie. A stretto giro in moltissimi hanno intasato le cancellerie per fare valere il diritto alla salute e le presunte incompatibilità con il regime detentivo.
«Per il mio assistito – spiega a MeridioNews l’avvocato Tino Celi, difensore di Porcino – avevo presentato istanza di scarcerazione a fine 2019. Soffre di cardiopatia e diabete». Porcino non si trovava sottoposto al regime del carcere duro. «Non c’è mai stato e per lui la Direzione distrettuale antimafia di Messina non ha mai chiesto il 41bis». Il 63enne è stato riconosciuto, fino al 2011, partecipe all’associazione mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Motivo per cui nel 2014 è stato condannato a 8 anni, 6 mesi e 20 giorni.
Il nome di Porcino negli anni è finito affiancato a quello di un personaggio del calibro di Rosario Pio Cattafi. Avvocato di Barcellona Pozzo di Gotto ritenuto elemento d’unione tra mafia, massoneria e servizi segreti. Altra vicenda nota in cui compare, è il caso di Attilio Manca, l’urologo trovato morto a Viterbo a febbraio 2004, quando aveva 34 anni. Un decesso – archiviato dalla procura laziale nel 2018 – che la famiglia ha sempre collegato alla latitanza e a una operazione alla prostata effettuata a Bernardo Provenzano in una clinica di Marsiglia. Dopo l’iscrizione nel registro degli indagati, la posizione di Porcino è stata archiviata. Dieci giorni prima della morte dell’urologo, il 63enne, per il tramite di un cugino del medico, gli avrebbe chiesto un appuntamento.