Mafia e azzardo, un binomio lungo oltre dieci anni «Nino, vedi che la gente è digiuna e va a giocare»

«Lo diciamo da tempo che la criminalità organizzata ha utilizzato i canali legali del gioco d’azzardo per i propri loschi affari: riciclaggio e usura in primis ma anche l’imposizione della macchinette come nuova forma di pizzo. Noi nelle opportune sedi istituzionali ribadiamo sempre che la proposta dell’azzardo deve essere ridimensionata e ristretta, perché questo fenomeno ha una diffusione capillare che diventa molto difficile limitare». Gino Gandolfo, coordinatore di Mettiamoci in Gioco Sicilia, mostra che sul gioco d’azzardo le associazioni spesso giungono in anticipo fornendo risposte adeguate al fenomeno. 

Lo Stato scopre ufficialmente l’interesse di Cosa nostra sul settore delle scommesse nel 2005, grazie a un’intercettazione tra i boss Antonio Rotolo e Antonino Cinà. «Nino, vedi che la gente è digiuna e va a giocare» dice il primo al secondo. Da allora il connubio tra mafia e gioco d’azzardo in Sicilia si è fatto sempre più intenso. L’ennesima conferma viene dall’operazione Game Over di ieri, con la quale la polizia di Palermo – su impulso della Direzione Distrettuale Antimafia – ha smantellato un giro enorme di scommesse e gioco online. Da solo Benedetto Bacchi, a metà tra mafia e imprenditoria, avrebbe guadagnato una cifra attorno al milione di euro al mese. «Finalmente quest’indagine traccia con adeguata precisione quello che è un vero e proprio impero economico» ha detto Salvatore De Luca, procuratore aggiunto di Palermo.

Intanto il Codacons ha annunciato di volersi costituire parte offesa nell’inchiesta. «È di tutta evidenza – spiegano dall’associazione dei consumatori – che i reati contestati sono tali da arrecare un danno ad una moltitudine di soggetti, sia pubblici che privati, configurandosi tra le altre fattispecie la possibile truffa ai danni dello Stato. La rete di agenzie di scommesse abusive contestata dalla Dda investe poi direttamente gli utenti, ignari dei giri illeciti dei soldi che si celano dietro il settore dei giochi». Anche Gandolfo si concentra sugli effetti della diffusione dell’azzardo. «L’inchiesta di ieri ci conferma che è questa – dice – la strada da perseguire: controllare il più possibile i flussi di denaro provenienti dall’azzardo. Da quando il gioco è stato legalizzato è evidente che qualcosa non ha funzionato, perché il controllo è sfuggito dalle mani dello Stato. Se pensiamo che solo nell’ultimo anno gli italiani hanno speso in questo settore 96 miliardi di euro, è evidente che così agendo si creano sempre più giocatori patologici e in generale persone in difficoltà, in un momento drammatico dell’Italia». 

Oltre la riduzione dell’offerta, Mettiamoci in Gioco chiede il divieto della pubblicità e più poteri ai Comuni, spesso espropriati dalla volontà centrale di aumentare il volume delle scommesse e le tipologie di giochi. «E bisogna anche intercettare i flussi di denaro proveniente dall’estero – aggiunge ancora Gandolfo – perché sappiamo che col gioco online spesso diventa difficile accertare le sedi di alcune società». Se da un lato è difficile, per ovvie ragioni, accertare i flussi di denaro che la gente spende in nero per scommettere, i soli dati del gioco legale avrebbero già dovuto suonare da campanello d’allarme.

Secondo le cifre rese disponibili dal database interattivo L’Italia delle Slot, creato dai quotidiani del gruppo Gedi insieme a Visual Lab e a Dataninja, a Palermo si giocano 399,9 euro all’anno pro capite. Solo nel 2016 e solo nel settore legale si sono giocati in città 269,43 milioni di euro. E bisogna considerare che la piattaforma prende in considerazione soltanto le new slot (Awp) – vale a dire le slot machine presenti non solo all’interno delle sale da gioco, ma che possono essere ospitate anche in attività commerciali come i bar e le tabaccherie – e le videolottery (Vlt) che, invece, sono le slot machine di nuova generazione che accettano anche banconote (e consentono, dunque, giocate più alte) e possono essere installate solo negli appositi locali. 


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