L’operazione messa a segno ieri che ha colpito 21 presunti fiancheggiatori del superlatitante Messina Denaro ha rivelato il giro di scommesse illegali curate dall’imprenditore Carlo Cattaneo con l’appoggio delle famiglie mafiose locali, comprese quelle del capoluogo. «Un patto commerciale» stretto fra il 2014 e il 2015
Mafia e azzardo, affari illeciti da Trapani a Palermo «Abbiamo il 17 Nero, sono amici di Castelvetrano»
«Abbiamo il 17 Nero…questo di Castelvetrano… tannu ce lo ha promesso lui, sono amici di Castelvetrano». In testa a questi amici del Trapanese c’è Carlo Cattaneo, imprenditore nel settore dei giochi e delle scommesse online, anche lui colpito dall’operazione di ieri e accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Le indagini avrebbero rivelato un legame molto stretto con il cognato di Matteo Messina Denaro, Rosario Allegra, e con Francesco Guttadauro, noto esponente della famiglia mafiosa di Castelvetrano, figlio del pregiudicato mafioso Filippo Guttadauro. Nonché, a sentire i magistrati, «nipote del cuore» del latitante numero uno di Cosa nostra.
Inizia la sua attività nel settore come titolare di agenzie di scommesse a Castelvetrano, diventando poi un vero e proprio master dei siti di gioco online più conosciuti, come PlanetWin e Betaland, diffusi a Trapani, Agrigento e anche a Palermo. Ci vede lungo, Cattaneo, però. E capisce che quel mondo può essere sfruttato per guadagnare anche di più. Molto di più. Parallelamente alla su attività lecita, quindi, decide di sviluppare anche un proprio sito di gioco illegale, chiamato proprio 17 Nero, che è riuscito a diffondere negli stessi centri di commercializzazione affiliati ai concessionari di partenza. Così come era stato per i suoi affari puliti, alla stessa maniera avviene per quelli che lo sono meno: li porta al di fuori dei piccoli confini di Castelvetrano, sino alle strade di Palermo. E se nella terra di Messina Denaro i suoi agganci sarebbero stati i fedelissimi del padrino, tra familiari e sodali in venerazione, nel capoluogo siciliano le amicizie sono fatte della stessa pasta.
Il suo pannello 17 Nero si sarebbe inserito a poco a poco nel circuito delle scommesse illegali grazie all’appoggio delle famiglie mafiose locali, una fra tutte quella che risponde al mandamento di Resuttana. «Ne ho fatti tipo venti, trenta, quaranta, poi cinquanta. Mi sono fatto il mio largo, capito come funziona?», spiega a un’amica a cui racconta la sua evoluzione di imprenditore, mentre lei lo ascolta ammirata. «Io agenzia ero…So fare il commerciante, evidentemente». I suoi siti illegali gli avrebbero garantito introiti settimanali di ingenti somme di denaro, parte dei quali destinati, secondo quanto emerso dall’operazione Anno Zero, all’organizzazione mafiosa di Castelvetrano e di tutta la provincia di Trapani. A dargli una mano anche a Palermo è soprattutto Sergio Macaluso, arrestato per associazione mafiosa con l’operazione Talea e divenuto collaboratore di giustizia a gennaio.
Il sistema per sponsorizzare il suo pannello è semplice: il concessionario o un suo rappresentante di zona si relaziona con il referente mafioso, che dietro riconoscimento di adeguato compenso gli garantisce l’affiliazione a quel particolare pannello di tutte o quasi tutte le agenzie di scommesse che insistono sul suo territorio di competenza. Con la 17 Nero era possibile addirittura, per i gestori delle singole agenzie, controllare il pannello delle scommesse e quindi, per l’associazione mafiosa, controllare puntualmente i guadagni. «Cosa nostra ha iniziato a interessarsi del settore delle scommesse sportive online intorno al 2013-2014 – racconta Macaluso agli inquirenti -. L’infiltrazione è avvenuta stringendo accordi con i proprietari dei siti di scommesse, molti dei quali vengono aperti a Malta, che garantisce un regime fiscale molto più favorevole».
Due i sistemi attraverso cui Cosa nostra realizzava l’accordo con i proprietari dei siti, al centro dei quali c’era sempre lui, Benedetto Bacchi, uno dei maggiori imprenditori del settore arrestato pochi mesi con l’operazione Game Over. Secondo un primo modello, il proprietario del sito, cioè Bacchi, doveva dare 200 euro al mese alla mafia per ogni punto scommesse della sua piattaforma, Bet 28, che apriva a Palermo. L’altro sistema era che Bacchi dava la possibilità al titolare dell’agenzia di gestire un proprio autonomo pannello virtuale. «In questo caso – racconta ancora Macaluso – noi mafiosi avevamo una percentuale sui guadagni, mentre Bacchi prendeva il resto della vincita. In sostanza era una forma di società». A gestire i rapporti con i siti di scommesse, oltre a Macaluso, ci sarebbero stati anche Vincenzo Graziano, sempre per Resuttana, Alessandro Alessi per corso Calatafimi e via Pitrè, e Paolo Calcagno per Porta Nuova. Un patto «commerciale», come si legge nelle carte, quello fra Cattaneo e le famiglie palermitane che sarebbe stato stretto fra il 2014 e il 2015.
E anche il sistema di Cattaneo operava su due distinti piani: un primo piano legale attraverso le agenzie di scommesse a marchio Betaland , che risulta in regola con le prescrizioni dell’Aams. La «faccia pulita del sistema», per dirla con i magistrati. L’altro piano è quello illegale: all’interno delle medesime agenzie Cattaneo avrebbe creato un sistemato più conveniente, costituito da alcuni siti con estensione .com di sua proprietà. L’utilizzo di questi siti gli consente, in totale evasione fiscale, di quotare le scommesse sugli eventi sportivi a condizioni decisamente più favorevoli per gli scommettitori, in modo che risulti assai più appetibile scommettere mediante l’utilizzo degli stessi piuttosto che attraverso le piattaforme legali ad estensione .it. Con l’aiuto di esperti informatici sarebbe anche riuscito a completare l’opera, occultando il meccanismo illecito.