«In realtà è il politico a cercare il mafioso, che è una persona ignorante che viene strumentalizzata e poi magari ottiene qualcosa». Di solito appalti e posti di lavoro. Il presunto boss calatino Rosario Di Dio all’ex governatore siciliano Raffaele Lombardo avrebbe chiesto un solo favore in cambio di consensi elettorali: organizzare un appuntamento per risolvere i problemi che dava una tubatura del consorzio di bonifica nel terreno del figlio. «Poi non c’è stato nessun incontro, mio figlio ha aspettato una mattinata e io ero risentito. Per me Lombardo non era più una persona credibile, sono schifato da tutta la politica». Da quel momento Di Dio avrebbe tagliato i ponti con il politico, anche se per lui «ho rischiato la vita e la galera».
Il riferimento è a due incontri che nel 2006 sarebbero stati organizzati dall’esponente di Cosa nostra dietro il bar di una stazione di servizio a Belpasso. Faccia a faccia a cui avrebbero preso parte il capomafia Angelo Santapaola da un lato e i due fratelli Angelo e Raffaele Lombardo dall’altro. Con il ruolo di «garante del patto» ci sarebbe stato lo stesso Di Dio. «Mi facero capire che dovevano concordare discorsi per le elezioni», spiega in aula. Tutto comincia pochi giorni prima, in periodo elettorale, quando «i Lombardo sono venuti senza preavviso nel mio distributore sulla Catania-Gela per chiedermi appositamente di organizzare gli appuntamenti con Santapaola», spiega Di Dio durante l’ultima udienza del processo d’appello, in cui l’ex presidente della Regione è imputato per concorso esterno alla famiglia Santapaola-Ercolano.
Il testimone, all’epoca sorvegliato speciale e già condannato per mafia, si sarebbe appositamente allontanato dalla sua roccaforte tra Castel di Iudica e Ramacca. Ma per quale motivo i due politici autonomisti si sarebbero fidati di lui? «Mi conoscevano da tempo perché ero stato sindaco e assessore del partito socialista nel mio paese e poi ero anche un pregiudicato». Nei capitoli che raccontano il passato di Di Dio non ci sono solo la mafia e la passione per la politica ma anche la clamorosa decisione di dissociarsi da Cosa nostra. Nessun pentimento ufficiale ma «una scelta di vita fatta dopo una lunga riflessione in cella». Iniziata, forse, subito dopo il suo ultimo arresto nel novembre 2010 durante l’operazione antimafia Iblis.
Da allora sulle sue spalle pesa anche una condanna per mafia ed estorsione a 20 anni che in appello potrebbe essere diminuita a 14. Ma anche il ruolo e il peso di grande accusatore del politico autonomista. Dopo aver racchiuso i suoi segreti sul rapporto con Lombardo in due verbali, trascritti dai magistrati tra il 2014 e il 2015, Di Dio li ha ripercorsi in vivavoce dalla saletta numero tre del carcere di Novara, dove si trova detenuto al carcere duro. Da una delle aule bunker del carcere di Bicocca, don Raffaele lo ascolta guardando attraverso un monitor e sorseggiando del thè, tenuto al caldo nel suo inseparabile thermos rosso.
Ore di racconti e tantissimi «non ricordo» che Lombardo smorza con qualche battuta ai giornalisti durante una delle pause del processo. «Di Dio si contraddice e i suoi racconti sono positivi per noi», esclama prima di annunciare la sua volontà di fare dichiarazioni spontanee che arrivano puntualmente alla fine dell’udienza. «Siamo davanti a un testimone che non ricorda le cose che sono successe e ricorda quelle che non sono successe», spiega alla corte Lombardo. «In questo distributore di Belpasso io ho la fortuna di non essere mai andato – conclude-, inoltre nel rifornimento Di Dio mi fermavo pochi minuti per caffè e sigaretta, ma per fortuna ho smesso con questi vizi».
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