Mafia dell’Etna, gli uomini del clan intercettati «O spari, o ti porti un’accetta e gli bruci i cavalli»

«
Noi siamo soldati, se a me mi dicono che devo venire da te e di venirti a dire in questa maniera, io ci devo venire, ma non sono io che te lo sto dicendo, te lo stanno mandando a dire». Un’organizzazione con una gerarchia precisa, quasi militare, è quella sgominata oggi dai carabinieri nei territori di Randazzo, Castiglione, Linguaglossa, Fiumefreddo e Giarre. Formata dagli uomini del clan Brunetto, legato alla famiglia catanese dei Santapaola, che imponevano il pizzo su importanti aziende vinicole dell’Etna. 

Secondo gli inquirenti, a capo c’era
Vincenzo Lomonaco, la cui autorità derivava dai rapporti diretti con Pietro Oliveri, ritenuto dagli inquirenti il reggente del clan dopo la morte del boss Paolo Brunetto. L’indagine, sfociata nei 14 arresti di oggi, parte proprio da un summit tra Oliveri, Lomonaco, Giuseppe Pagano e Giuseppe Calandrino avvenuto il 4 aprile del 2013 in un’abitazione di Giarre, nel vicolo Costanzo, alle spalle della centralissima via Callipoli. 

Lomonaco è intercettato dagli investigatori, nonostante lui stesso metta in guardia gli altri membri del gruppo, di stare attenti alle comunicazioni telefoniche. «
Ha i telefoni sotto controllo, che non si confonda nel parlare», spiega a uno dei suoi uomini fidati. Quello che è ritenuto il vertice del gruppo dispensa consigli su come soggiogare gli imprenditori. «Si può anche chiamare l’esercito, è meglio che si cerca un amico, cercati un amico d’urgenza. Dopo una settimana dalla telefonata si può fare una mossa», spiega.

Lomonaco si sofferma anche sulle
armi da usare, mostrando di preferire i metodi tradizionali. «Il fucile automatico ha cinque colpi, ma se s’inceppa non lo voglio, meglio due colpi ma sicuri», precisa mentre parla con il giovane Alessandro Lomonaco. Poi continua: «Appena scendi da Carlo se non ci vuoi sparare, ti porti un’accetta, gliene carichi due… poi i cavalli glieli bruci nella stalla». 


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