Gli uomini della direzione investigativa antimafia hanno confiscato una società, quattro immobili, decine di automezzi e rapporti bancari. Antonino Sciacca, attualmente libero, è stato condannato nell'operazione Tunnel. Il figlio Vincenzo, condannato all'ergastolo, è stato catturato dopo una latitanza durata dodici mesi
Mafia, confisca per imprenditore Sciacca A Bronte patrimonio da tre milioni di euro
Prima il sequestro e adesso la confisca. Ad apporre in queste ore i sigilli sono gli uomini della direzione investigativa antimafia di Catania. La sezione, guidata da Renato Panvino, ha eseguito un decreto emesso dal tribunale misure di prevenzione di Catania nei confronti di Antonino Sciacca. L’imprenditore, ultrasessantenne originario di Cesarò ma che da anni vive a Bronte, già condannato per associazione mafiosa. Nel mirino degli uomini dell’antimafia è finito un patrimonio complessivo del valore di tre milioni di euro. Tra i beni c’è l’azienda Sicilia inerti, specializzata nella frantumazione e lavorazione di materiale lavico e inerti. La lista è completata da rapporti bancari, quattro immobili e una decina di automezzi.
Il nome della società, intestata a Giacomina Barbagiovanni, non è la prima volta che finisce sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori. Nel luglio 2014 sempre gli uomini della Dia, avevano posto sotto sequestro la ditta. Soltanto un mese prima attraverso un operazione congiunta con la polizia, veniva rilevata invece una presunta gestione illecita di una discarica abusiva con rifiuti speciali in un luogo sottoposto a vincolo ambientale. Secondo gli inquirenti gli operai della Sicilia inerti avrebbero scavato e successivamente coperto i buchi lasciati dalle estrazioni con materiale di risulta proveniente da altri luoghi.
L’imprenditore nel 2004 è stato coinvolto nell‘operazione antimafia Tunnel e poi condannato. Attualmente libero, è stato arrestato per l’ultima volta a causa di un residuo pena di quattro mesi. Appartenenti a Cosa nostra, secondo gli investigatori, anche i due figli Signorino e Vincenzo. Quest’ultimo è stato catturato lo scorso agosto, dopo 12 mesi da latitante, in un casolare nelle campagne tra Bronte e Adrano. L’uomo si era reso irreperibile alla fine del 2013 dopo la condanna in secondo grado all’ergastolo per l’omicidio dell’impresario ennese Domenico Calcagno. Un delitto compiuto il 18 maggio 2003 a Valguarnera Caropepe, durante la processione religiosa dedicata a San Giovanni Bosco. A ordinarlo erano stati direttamente alcuni pezzi da novanta della mafia siciliana. Francesco La Rocca, boss di San Michele di Ganzaria e Raffaele Bevilacqua, all’epoca reggente mafioso in provincia di Enna.
A Bronte da anni si fronteggiano due gruppi mafiosi contrapposti. Uno fa riferimento alla cosca dei Carcagnusi di Santo Mazzei e ha il suo vertice in Francesco Montagno Bozzone. L’altro sarebbe capitanato da Salvatore Catania. Citato decine di volte nei racconti del collaboratore di giustizia Santo La Causa, Catania sarebbe il riferimento nella zona, che ingloba i Comuni di Cesarò e San Teodoro, della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano. Alcuni dei suoi uomini sarebbero stati presenti il 26 settembre 2007 durante l’omicidio eccellente di Angelo Santapaola. Reggente e cugino di Benedetto Santapaola, ucciso nell’ambito di lotta interna per la gestione della reggenza ai piedi dell’Etna. I due gruppi brontesi, indeboliti da arresti e condanne, vivono al momento una fase di apparente tranquillità. L’apice dello scontro si era registrato all’inizio 2007 quando Montagno Bozzone per la terza volta in pochi anni scampava a un attentato. Il primo risaliva al 2000 quando all’interno di un bar i proiettili gli perforarono la bocca uscendo da una guancia senza ucciderlo. Un tentativo non andato a buon fine che seguiva l’uccisione di un affiliato del clan rivale.