Mafia, boss strangolato e sciolto nell’acido Dopo 17 anni incastrati assassini, 4 arresti

Svolta su un caso di lupara bianca dopo 17 anni. I carabinieri del nucleo investigativo di Palermo hanno arrestato quattro persone accusate dell’omicidio di Giampiero Tocco, boss ucciso e poi sciolto nell’acido il 26 ottobre del 2000. Su richiesta della Dda, i carabinieri del comando provinciale hanno dato esecuzione a quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di Freddy Gallina, 40 anni, Giovan Battista Pipitone, 67 anni, Vincenzo Pipitone, 61 anni, e Salvatore Gregoli, 59 anni. Tocco fu eliminato perché ritenuto responsabile del delitto del boss Giuseppe Di Maggio. L’uomo venne rapito mentre era alla guida di un fuoristrada con la figlia di sei anni che fu risparmiata dai killer. Dopo che i sequestratori lo portarono via, fu proprio la piccola ad avvertire la madre e poi a svelarle, attraverso un disegno, la dinamica del sequestro riproducendo la scena che aveva vissuto. 

Il tutto venne registrato dalle microspie che i militari avevano installato nell’auto poiché sospettavano il coinvolgimento dell’uomo nell’uccisione di Giuseppe Di Maggio, figlio del noto Procopio, già reggente della famiglia mafiosa di Cinisi e storico alleato di Totò Riina. Tocco, portato in un casolare di campagna, fu torturato, strangolato e sciolto nell’acido. I mandanti furono i capimafia Salvatore e Sandro Lo Piccolo, già condannati all’ergastolo. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dai pm Roberto Tartaglia, Amelia Luise e Annamaria Picozzi. L’ergastolo è stato inflitto anche a Damiano Mazzola che era nell’auto con i falsi poliziotti incaricati di fermare la macchina di Tocco. Dodici e otto anni hanno avuto, invece, i pentiti Gaspare Pulizzi e Francesco Briguglio.

Secondo la ricostruzione degli investigatori, il delitto fu voluto da Salvatore Lo Piccolo che ordinò il sequestro di Tocco e lo sottopose, dopo averlo torturato, a un lungo interrogatorio per accertare chi gli avesse chiesto di uccidere Giuseppe Di Maggio. Negli ambienti mafiosi si sapeva che era lui l’autore dell’omicidio. Durante la veglia funebre per Di Maggio, la madre, intercettata, avrebbe detto ai parenti: «Giampiero», alludendo a Tocco. Al padrino Tocco avrebbe risposto: «Uno molto in alto», riferendosi al boss Bernardo Provenzano. E il capomafia di San Lorenzo avrebbe replicato: «Tu non hai capito che quello in alto sono io». Dopo l’interrogatorio da parte del boss la vittima fu strangolata e il suo corpo venne sciolto in un bidone di acido. Secondo i racconti dei collaboratori di giustizia, i mafiosi che parteciparono al delitto si sarebbero spartiti i vestiti e gli oggetti che la vittima aveva addosso.

Grazie alle rivelazioni dell’ultimo collaboratore di giustizia, Antonino Pipitone, ex capomafia di Carini, si è fatta luce sugli ultimi aspetti non chiariti del delitto e si è accertato il ruolo di Freddy Gallina, Vincenzo e Giovan Battista Pipitone, zii del collaboratore di giustizia, nomi storici di Cosa nostra, detenuti e già arrestati per il maxiprocesso e di Salvatore Gregoli. Gregoli, che avrebbe fatto parte del commando di falsi agenti che bloccò Tocco e gli intimò di scendere dall’auto, era libero e i carabinieri gli hanno notificato stamattina la custodia cautelare in carcere. Gallina si trova negli Usa. Fermato dal Fbi nei mesi scorsi è detenuto come clandestino e attende il provvedimento di espulsione dal Paese. 


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