Sesto album in studio per la celebre formazione della Bay Area che piede sulla scena con un lavoro che risente parecchio di sonorità metalliche degli anni '80. Ma più che revival, il tutto suona come l'ennesima cavalcata del trend di passaggio. La qualità non si discute, ma a volte la genuinità paga di più
Machine Head – ‘The Blackening’ (Roadrunner Records)
Abilissimi nel cavalcare tutti i trend possibili ed immaginabili imperanti nello scibile metal, i Machine Head sono riusciti tutto sommato a sopravvivere a quelle stesse mode che, in un certo senso, avrebbero potuto tramortirli fatalmente. Che questo ritorno a sonorità prettamente heavy possa essere inteso come una pubblica ammenda, la recita di un sentito mea culpa potrebbe anche risultare una tesi veritiera, ma data l’aria di revival che tira attualmente in giro per la scena metallica, qualche dubbio sulla genuinità di questo ritorno a sonorità più dure e classiche è lecito nurtirlo.
Messo alla porta senza tanti rimpianti il mediocre chitarrista Ahrue Luster, a detta di molti il cancro intestino che rese possibile la virata rap-metal avvenuta col pluri-criticato The Burning Red, col conseguente scemare anche delle ultime risacche dell’onda nu-metal, il four-piece guidato da Rob Flynn ci mette un batter d’occhio a fare dietro front e a tentare un ritorno alle origini. Con un album come il precedente Through The Ashes Of Empire e in seguito all’ingresso in squadra in pianta stabile di Phil Demmel, dotato axe-man compagno di ventura di Flynn nei seminali Vio-Lence, per capire quale piega avrebbe preso il qui presente The Blackening non ci volevano mica super poteri da chiaroveggenti. Col ritorno in auge di sonorità heavy di stampo ottantiano nel panorama metal attuale, i Machine Head impacchettano il disco che t’aspetti. Forse non del tutto. Pur mantenendosi lontani dai panteriani ruggiti del macigno d’esordio Burn My Eyes del ’94 e dall’alternative-metal del seguente gioiello The More Things Change del ’97 (e forse la colpa più grande dei Nostri è stata quella di irrompere con due opere di una tale caratura), il combo della Bay Area ripesca le armonizzazioni degli Iron Maiden, riscopre le radici thrash dei Metallica dell’era d’oro, ma non snatura affatto il proprio trademark, rimanendo così assolutamente riconoscibile.
The Blackening si suddivide in otto lunghe composizioni dalle strutture parecchio arzigogolate, dando vita ad un progressive-thrash dove i riff sono minacciosi ma non per questo privi della verve melodica necessaria. Già l’iniziale “Clenching The Fists Of Dissent” ci mette in guardia riguardo al taglio dell’intera opera: una moltitudine di frasi chitarristiche incastonate su un intricato tessuto ritmico che il sempre abile Dave McClain pone in essere per l’occasione. Flynn appare molto migliorato nei passaggi in voce pulita e anche le parti più roche godono sempre di quel pizzico di modulazione che evita la stasi monolitica. Aesthetics Of Hate (dedicata al defunto Dimebag Darrell, indimenticato ed indimenticabile chitarrista dei Pantera, assassinato quasi due anni e mezzo fa) macina riff a più non posso e tira dritta compatta ed impetuosa, mentre la successiva Now I Lay Thee Down (scelta come primo singolo) recupera le asperità timbriche e le oscurità melodiche care a The More Things Change. L’album procede obiettivamente bene, fluido nei diversi snodi attraverso cui i brani si sviluppano, e si rintraccia in Halo un indiscusso highlight, che di contro Wolves tende a controbilanciare lasciando trasparire qualche goccia di forzatura che ne rende i raccordi innaturali. È con le atmosfere un tantino più dilatate (almeno nei passi iniziali) di A Farewell To Arms, che si tramuterà poi nell’ennesima cascata di riff spessi come il marmo, che si fa terra bruciata intorno al cerchio.
Parecchio ambizioso e, per certi versi, anche altezzoso (soprattutto per certe dichiarazioni di Flynn alla vigilia), The Blackening dimostra che i Machine Head non hanno dimenticato come si suona musica tosta. Ma nel contempo ci rammenta come i Nostri cerchino sempre di piazzarsi al posto nel momento giusto, cavalcando con estrema sfacciataggine l’ennesima moda (ma diciamolo, anche col dovuto carattere), lasciando adito ai più maliziosi (come il sottoscritto) di formulare tesi riguardo l’ambigua essenza dell’opera. La qualità è sicuramente di un certo livello, ma la voglia dei Machine Head di saltare sul carro dei vincitori è un qualcosa su cui non si possa soprassedere del tutto. Insomma, il nuovo capitolo della saga Va dove ti porta il trend è servito, e non penso che Flynn e soci di questo ne siano del tutto incoscienti.
Tracklist
1. Clenching The Fists Of Dissent
2. Beautiful Mourning
3. Aesthetics Of Hate
4. Now I Lay Thee Down
5. Slanderous
6. Halo
7. Wolves
8. A Farewell To Arms