Il contratto dei lavoratori dell'azienda di trasporti sequestrata alla mafia nel 1999 è scaduto ieri. Tra 75 giorni, l'azienda chiuderà i battenti e sarà messa in liquidazione, per pagare i debiti accumulati. I ventitré dipendenti sperano in una soluzione, pregano che lo Stato decida di non abbandonarli. «Ci incateneremo ai cancelli, non può finire qui», dicono. Ma nel magazzino vuoto senza più commesse, lo sconforto è palpabile
L’ultimo giorno di lavoro al Gruppo Riela «Ci incateneremo ai cancelli»
Nel magazzino dell’azienda di trasporti Riela Group c’è profumo di arance. La consegna di quelle e di alcune casse di limoni sono le ultime commesse che l’azienda porterà a termine prima di chiudere i battenti. Ieri è stata avviata ufficialmente la mobilità, e i 23 dipendenti della ditta confiscata nel 1999 alla famiglia Riela, affiliata al clan Santapaola, non hanno più un lavoro. «Il mio contratto è scaduto dice Loredana Codispoto, 30 anni Io qui non potrei nemmeno più starci». Sono uniti, i lavoratori della Riela. Undici di loro hanno un contratto a tempo determinato (e Loredana è una di questi) che è scaduto ieri, gli altri 12 sono i dipendenti a tempo indeterminato di un’azienda che tra due mesi e mezzo sarà messa in liquidazione.
«Dopo 75 giorni dall’inizio della mobilità, l’azienda viene chiusa». Mario Di Marco, il direttore tecnico del gruppo Riela, gira per gli uffici a Piano tavola, nella zona industriale di Belpasso arrabbiato. «È bella, bellissima, c’è tutto afferma Certo, la mafia si trattava bene». E adesso lo Stato chiude i battenti. «Con la chiusura, abbiamo dismesso tutti i lavori che avevamo, continuiamo a perdere soldi». Perché la Riela, lui ne è convinto, «ha un sacco di potenzialità: fino all’anno scorso facevamo 200mila euro di fatturato al mese, all’inizio del 2012 arrivavamo anche a 140/15omila euro». Ma da quando, il 10 gennaio, hanno ricevuto la notizia della liquidazione, le speranze sono andate disperse, così come importanti fette di mercato. Ma i dipendenti si sono autotassati, hanno rinunciato al loro stipendio per quattro mesi pur di non vedersi costretti ad abbandonare il loro capannone, i settanta automezzi e l’officina. Che adesso rischiano di essere venduti per pagare i debiti del gruppo Riela. «Se questa azienda fosse stata di un privato, me ne sarei andato senza battere ciglio si rammarica Di Marco Ma tutto questo è pubblico, la storia non può chiudersi in questo modo». Anche perché «se noi, i 23 dipendenti di questa azienda, ci mettessimo a delinquere e ci facessimo arrestare, mantenerci in galera costerebbe alle casse statali più di quanto costiamo adesso». Gaetano Sava, consigliere comunale a Belpasso, lo ascolta e lo rassicura: «Faremo qualcosa, chiederò un consiglio comunale straordinario, faremo intervenire il prefetto e il ministro dell’Interno». Solleciteranno, incroceranno le dita.
«Noi ci crediamo, ci teniamo, ci speriamo di restare qua dentro», racconta Valentina Nicotra, 25 anni. Anche perché il settore dei trasporti è complicato, nella maggior parte delle imprese private non ci sono tutele: «Tredicesima, quattordicesima, malattia, assegni familiari… Te li sogni», racconta Francesco Motta, 44 anni. E Domenico Cosentino, 43 anni, precisa: «Non che qui tutto sia sempre filato liscio: alcuni di noi facevano due contratti a tempo determinato di fila, poi staccavano dieci giorni e firmavano un altro contratto a tempo determinato, per evitare la continuità». Che avrebbe costretto a trasformare quel contratto in un tempo indeterminato. «Oggi non abbiamo prospettive». Su questo non hanno dubbi, sono tutti d’accordo. E se una soluzione si deve trovare, accordandosi anche coi sindacati, «non devono esserci differenze tra noi: quelli assunti a tempo determinato devono essere salvi proprio come quelli che già avevano il tempo indeterminato». In fondo, sono stati assunti tutti dopo la confisca alla mafia, la Riela l’hanno vista combattere contro la competizione dei concorrenti, ci hanno lavorato ogni giorno negli ultimi tre anni, «facendo un buon lavoro», dicono. «E poi non si può dimenticare il valore sociale del mantenere in piedi l’azienda interviene Maurizio Marino, 53 anni Abbiamo una storia e un significato, la nostra presenza nel mercato è un segnale forte». E sarebbe un segnale altrettanto forte, ma in senso opposto, vederla sparire.
Natale Cuscunà, 57 anni, è il dipendente più anziano. Nel magazzino vuoto che profuma di arance accende una sigaretta e comincia a fumarla, con le spalle basse. Non dice niente. «E che devo dire? Onestamente, proprio non lo so che devo dire». E sospira. «Ci incateneremo ai cancelli», risponde al posto suo Loredana Codispoto.