Le intercettazioni del direttore di Telejato mostrano un delirio di onnipotenza. Un reato da accertare con un accanimento mediatico senza precedenti. Una storia di miseria, per un uomo diventato un simbolo ma che rimane un uomo
L’ultima lezione di Pino Maniaci
«Io credo ancora al nostro mestiere come cane da guardia del potere: se dovete fare i chiwawa, cambiate lavoro».
Forse dovevamo capirlo già da allora che Pino Maniaci non ci diceva tutta la verità. Altro che chiwawa. Il giornalismo siciliano è fatto da leoni. Che tirano fuori le unghie sulle proprie bacheche Facebook e ruggiscono dalle pagine dei giornali. O almeno lo fanno da due giorni, su tutto quello che riguarda il direttore di Telejato e l’indagine a suo carico. Estorsione. Una parola che colpisce come una stilettata e, nel tempo di un video, squarcia un velo che copre quasi dieci anni. La voce è la stessa, quella di Pino. Ma sta dicendo «Bravi, continuate così, l’importante è scassare la minchia». Le immagini lo mostrano mentre prende dei soldi da un uomo, il sindaco di Borgetto. Ma io lo rivedo in una calda sera di sei anni fa, sotto a un albero di piazza Dante. Dove tutto è cominciato.
«A me mi hanno invitato dall’altra parte del mondo per andare a prendere il premio internazionale del cazzo di eroe dei nostri tempi», diceva, intercettato, nel 2014. «Se Reporter senza frontiere premia uno stronzo come Pino Maniaci, vuol dire che in Italia a libertà di informazione stiamo messi bene», diceva anche all’inizio di quest’anno. Perché è il suo linguaggio e chi prima rideva oggi si copre la bocca con imbarazzo. Le gote coperte di un rossore virginale. Lo stesso rossore che mi coglie quando lo sento parlare dei suoi cani. Scannati per questioni di corna. Ma il mio non è imbarazzo, è rabbia. Per chi ha speso anche solo i soldi della benzina per andare a combattere con Pino. Per i ragazzi dei campi antimafia, in fila per stringergli la mano. Per la ragazza che ero e per la giornalista che sono.
E per i ragazzi di Telejato. Già, vero, Telejato. La Procura di Palermo racconta la promessa di una linea morbida. E allora Pino deve aver preso per il culo pure il sindaco, che ce lo vedo lì con la giunta a fare colletta, e ritrovarsi comunque il suo nome sul sito e nel tg. E sono arrabbiata pure per questa ragazza, l’amica, l’amante, come volete. Una ragazza di poco più di trent’anni che ora per tutti è una buttanazza. Pino Maniaci forse le ha comprato un diritto, quello a un lavoro e a una vita dignitosa. Questo fa rabbia ed è un reato. Lo sanno bene i colleghi che mettono in fila indagini antimafia su nomi eccellenti: Montante, Costanzo, Lo Bello. E ora Maniaci. La legge sarà pure uguale per tutti, ma la vita no. E se di storie ci occupiamo, questa va raccontata per come la vediamo. Anche grazie alle intercettazioni che ci hanno comodamente recapitato in redazione, senza darci il disturbo di cercarle – e spesso non trovarle – come nel caso dei primi tre signori.
«Quello che non hai capito tu è la potenza di Pino Maniaci». Un delirio d’onnipotenza, quello di un uomo di sessantanni che fa lo splendido con una donna che ne ha la metà. Quello di un uomo che sono sessantanni che combatte. Quello di un uomo che è diventato un simbolo e si è forse scordato da dove veniva. Umane e misere storie. Umane come lo siamo tutti, misere come non possiamo dire che non saremo mai. E forse questo è l’ultimo vero insegnamento di Pino Maniaci.