La sua docu-fiction La voce del corpo ha fatto scoprire agli stranieri la comunicazione non verbale siciliana: non solo folklore, ma vera lingua codificata. Eppure in Italia, dopo cinque anni di lavoro tra le difficoltà dell'isola, il successo per il regista trentenne arriva solo ora, quando da un anno si è ormai trasferito in Inghilterra. Tra corsi per le più prestigiose università e interviste alla Bbc. «Qui la base è il merito, non a cu appatteni. E le accuse di provincialismo al mio film non fanno altro che convincermi a non tornare», racconta
Luca Vullo, regista nisseno a Londra «La Sicilia? Ispirazione e frustrazione»
«Sono un rompipalle di natura. Non essendo riuscito a romperle tanto in Italia, ho deciso di continuare all’estero». Si presenta così Luca Vullo, 34 anni, di Caltanissetta, da un anno residente a Londra. Quando parla, l’accento non tradisce mai le sue origini. Se non per il comune intercalare siculo che irrompe generoso ogni qual volta il discorso si sposta sull’Italia: «Minchia, ma è possibile?», chiede spesso sinceramente stupito. Dalle critiche di provincialismo rivolte al suo documentario sulla gestualità siciliana, La voce del corpo, sempre più apprezzato invece all’estero. Ma anche dalle condizioni di lavoro in Sicilia, che conosce bene per aver tenuto in piedi una propria casa di produzione cinematografica indipendente dal 2006 allo scorso anno. Quando ha deciso di trasferirsi a Londra. In questi giorni, l’Italia e i suoi media si accorgono di lui dedicandogli interviste e articoli in un crescendo di notorietà arrivata in ritardo. «All’estero, invece, mi chiamano già da tempo solo perché hanno visto i miei lavori, senza conoscermi. Non è certo il paradiso, devi dimostrare di valere, ma qui la base è il merito, non a cu appatteni».
La svolta per Vullo è proprio La voce del corpo, docu-fiction sulla comunicazione non verbale siciliana uscito nel 2011. «Quando ho ideato il film, in realtà pensavo già all’estero – racconta – C’erano dei fondi destinati alla promozione del territorio e volevo trovare un aspetto diverso, magari meno indagato, della Sicilia. Qui in Inghilterra, ad esempio, è famosissimo il commissario Montalbano, l’elemento malavitoso e la sua lotta vanno forte. Ma la gestualità è invece una parte positiva della nostra cultura e che penso possa suscitare interesse e simpatia nei nostri confronti». Così sono cominciate le ricerche, a base di storici, etnografi e antropologi. Su tutti, il siciliano Giuseppe Pitrè. «Gli stranieri ci riconoscono per il nostro modo di gesticolare, ma per loro è solo folklore, non ne capiscono il senso – continua Vullo – Nel mio documentario punto invece a far capire che non siamo burattini né scimmie scalmanate, ma la nostra è una lingua codificata».
E gli stranieri sembrano aver capito, al contrario degli italiani. «Ho letto molti commenti negativi agli articoli pubblicati sul film. Alcuni si sentono toccati nell’orgoglio non so per quale motivo, vedono nella gestualità un’immagine ignorante dell’Italia e questo mi ha colpito – racconta Vullo, amareggiato – Sono stato accusato di provincialismo. Ma io, all’estero, vedo che dall’Italia arrivano solo figure di merda, tra la politica e le notizie. Abbiamo così tanto da vergognarci e vengono a rompere la minchia a me?». E’ così che viene fuori il siculo che c’è in Vullo. Innamorato della sua terra, eppure felice altrove. Tanto da restarci. «Questi atteggiamenti mi spingono sempre più a non tornare – spiega – Tutta la mia ispirazione l’ho avuta in Sicilia, ma anche tutte le mie frustrazioni». L’impossibilità di lavorare con il settore pubblico – «Aspetto soldi da tre anni» -, il poco rispetto per il lavoro altrui e la mancanza di meritocrazia: gli elementi per la fuga ci sono tutti. «Eppure il cordone ombelicale non l’ho tranciato. Continuo a lavorare in Italia e con italiani, anche nel sociale».
Il suo presente, in ogni caso, è in Gran Bretagna. Tra un’intervista alla Bbc e i corsi tenuti nelle più prestigiose università dell’isola agli studenti di italianistica. «Di recente mi hanno chiamato dal teatro nazionale inglese per insegnare la gestualità siciliana agli attori che dovevano mettere in scena Liolà (la commedia di Luigi Pirandello, ndr) – racconta Vullo – Un attore a un certo punto mi ha chiesto che gesto usare per indicare che la moglie lo aveva tradito con un altro». Non le corna, ma proprio il movimento di polso che mima un atto sessuale. «Un gesto volgare ma che ha fatto ridere tutto il teatro. Loro erano molto divertiti, un’attrice mi ha chiesto addirittura se si potesse fare con entrambe le mani». Come nemmeno nei peggiori bar dei sobborghi etnei. «In questi giorni sto rivedendo i video dei miei workshop e ho notato che anche io gesticolo tantissimo – racconta divertito – Sembro un videogioco!». Nessun gesto in particolare, ma di sicuro quelli con cui gli stranieri dicono di identificare un italiano anche in mezzo a una folla: il plurisignificante chi bboi? e il più cinematografico al bacio.
[Foto di Ondemotive – Luca Vullo]