Il vecchio lupo perde il pelo ed anche il vizio. Lanimale del rock ‘n’ roll non graffia più e lascia a bocca asciutta i 3000 mila pervenuti ieri sera al Palacatania. Lou Reed, insomma, non sarà trofeo leggendario del palmares concertistico catanese per via di unesibizione che al tatto, allascolto, alla vista e al gusto, è apparsa fragile, leggerina e decadente (nella sua accezione più da precipizio).
Ma partiamo dallinizio: Lou Reed & Band salgono sul palco quando le lancette segnano le 21.30. Lou ha una felpina grigia con cappuccio, un viso crudo e la solita chitarra in braccio. Ed è così che, senza bussare, esordisce con la chilometrica Paranoia in key of E (tratta dal disco Ecstasy). La band lo segue fedele: Fernando Saunders gioca col suo violoncello elettrico, Rathke è un fido scudiero, Wasserman suona il più freddo contrabbasso mai visto e fa specie vedere Thunder Smith ingabbiato assieme alle sue pelli in una specie di cabina di vetro. Il pubblico sembra apprezzare il fascino di un pezzo da 90 come mr.Reed e lo va a spiare da vicino con il continuo via vai per le rituali fotografie da sotto il palco. Chi non è disposto a fare sconti al buon vecchio Lou è la pessima acustica dal palazzetto di Corso Indipendenza: la voce di Reed arriva al pubblico stonata, eccessivamente amplificata e corpo alieno rispetto alla musica rilegata a fievole sottofondo.
“Street Hassle”, “Sword of Democles”, “Who I Am” vedono il passaggio migliore dellesibizione. Lou si spoglia della sua docile felpa chiara per rimanere come storia ricorda: maglietta di pelle nera e atteggiamento austero. Solo qualche acuto soul di Sounders addolcisce la scena altrimenti impietrita dalle corde vocali di Lou e dalle sue schitarrate un po demodè e forse un po di maniera. Fuori programma già visto e già sentito è lingresso sul palco di Ren Guangyi, suo personalissimo maestro di Tai Chi nella Grande Mela. Il filosofo orientale è un bel vedere nella sua veste rosso luccicante e nella sua breve dimostrazione di allungamento corporale. Ma già per il tour seguente all’uscita di The Raven (2001) il siparietto era stato abbondantemente utilizzato come macchia cromatica della scenografia.
“Sweet Jane” nel finale è un po come vedere lorchestra del Titanic che continua imperterrita a suonare durante il naufragio. sha da fa insomma.
Lou fallisce lobiettivo di emozionare il pubblico. Proprio non ci riesce ad entusiasmarlo. È solo un Winter tour come un altro, è solo un inverno qualsiasi, solo un concerto da fare e non da sudare.
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