Londra, l’aeroporto evacuato e la città stravolta Il racconto di una siciliana nei giorni del terrore

Lo scorso sabato migliaia di persone dovevano partire da Londra dall’aeroporto di Gatwick. Ma non sono riuscite nemmeno a entrare al terminal Nord. Migliaia di passeggeri hanno aspettato all’addiaccio prima che si scoprisse che era stato fermato quello che sembrava un attentatore all’interno dello scalo londinese. «È stato un trauma vivere quell’esperienza e soprattutto dopo, a mente fredda, capire di essere stata sfiorata da un pazzo». A parlare e raccontarci l’esperienza vissuta a Gatwick e di come la quotidianità nel centro di Londra sia cambiata è Federica Valenti. Ha 21 anni, messinese, e da luglio del 2014 vive e lavora nella capitale inglese. 

Sabato di buon mattino era arrivata allo scalo ma è stato subito il caos. «Gli addetti alla sicurezza dell’aeroporto e la polizia hanno cominciato a gridare di andare fuori. Un fiume di persone si è diretto verso le uscite senza capire il perché, ma con il terrore negli occhi. Pioveva e accanto a me c’era una famiglia con una bambina. Faceva molto freddo – racconta Federica -. I vestiti si inzuppavano di pioggia e nessuno ci diceva cosa stava accadendo. Quindi hanno cominciato a fornirci delle coperte, ma eravamo troppi e ho ceduto la mia alla bambina che avevo di fianco. I minuti sembravano non passare mai. Qualcuno ci ha detto che tutti i voli erano cancellati». Sono trascorse alcune ore prima che riuscissero a sapere cosa stava succedendo dentro l’aeroporto. «C’era un uomo che aveva tentato di superare i controlli, ma era stato fermato. Ci hanno detto che aveva una bomba nascosta nel trolley e delle pistole. E che una l’aveva attaccata con dello scotch direttamente sul petto». Dopo si è accertato che non ci fossero ordigni, ma l’uomo, un francese senza fissa dimora, avesse un coltello e un fucile. «È stato un addetto alla sicurezza dell’aeroporto a comunicare a tutti i passeggeri cosa stava succedendo – continua la 21enne -. Nel frattempo ci hanno fatto spostare dentro un albergo vicino. Ma eravamo sempre troppi rispetto alla possibilità della hall. Ci hanno fatto accomodare nella sala congressi e qui per terra e con delle coperte». 

Mentre a Parigi si cercava di capire quante erano le vittime degli attentati rivendicati dall’Isis, sabato mattina all’aeroporto di Gatwick i passeggeri hanno temuto che l’obiettivo successivo potevano essere loro. «Non ho dormito quella notte. Ero stanca e infreddolita – prosegue Federica – e all’improvviso il giorno dopo ho avuto la percezione materiale che Londra non era più la città che avevo lasciato ancora dormiente sabato mattina. Te ne accorgi dalla presenza di forze speciali in giro per le strade. Sono di più e in tenuta da guerra. Entrano nei locali come quello dove lavoro io e chiedono ai dipendenti se tutto va bene. Anche se si fermano per una pausa pranzo, domandano se abbiamo notato cose strane o persone sospette. È un clima surreale». Ipotizzare di vivere senza prendere i mezzi a Londra è fuori discussione. «Sapere di poter essere il prossimo obiettivo di un attentato terroristico non ti fa stare tranquilla, ma non puoi smettere di vivere. È quello che vorrebbero. Ma la libertà è anche questa: vivere la quotidianità e non farti condizionare la vita da persone che in un altro Paese hanno deciso che la violenza è l’unica strada per liberare il mondo da coloro che ritengono siano i cattivi».


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