Da più di due settimane in Francia sono in rivolta 72 atenei su 85. Accusano il governo di voler smantellare l'insegnamento pubblico, estendere il precariato, asservire il mondo scientifico ai poteri politici. Il tutto in nome della competitività
LOnda è tornata. A Parigi
“L’interesse privato fuori dall’università!” questo è l’urlo che unisce ricercatori e studenti nella Francia di Nicolas Sarkozy. Siamo a Place d’Italie, a soli tre chilometri dal Senato della Repubblica Francese. Qui il 19 febbraio in 30.000 (15.000 per la prefettura) si sono dati appuntamento per la terza giornata di protesta contro quella che viene chiamata la “controriforma” universitaria, messa in atto dal governo francese.
“Enseignement+Recherche=Avenir” è uno degli slogan che campeggiano sugli striscioni in piazza, mentre le trombe portate da alcuni studenti universitari di Paris Nanterre suonano a morto. “Université en colère” e ancora “Comme Carla: baisés par Nicolas”. La reazione del mondo universitario francese all’attacco del presidente della Repubblica è decisa e compatta.
Meno di un mese fa, nell’ormai celebre discorso del 22 Gennaio 2009, Nicolas Sarkozy aveva affrontato il problema della crisi economica e della risposta che il mondo di cultura e università sono chiamati a dare. La linea dell’Eliseo è chiara e fa perno su due parole chiave: valutazione e performance. L’attacco del presidente ad una comunità accademica accusata di immobilismo e conservatorismo, è motivato dalle esigenze di riforma che possano traghettare la comunità scientifica francese verso standard più elevati di produttività.
“Francamente la ricerca senza valutazione, pone un problema. (…) Io vedo nella valutazione la ricompensa della performance. Senza valutazione, non esiste performance”. Troppe spese per lo Stato, e poche pubblicazioni in confronto a Inghilterra e Germania, renderebbero il sistema d’istruzione pubblica francese ormai obsoleto. Valérie Pécresse, ministro dell’insegnamento superiore e della ricerca, incaricata dal capo di stato di occuparsi della riforma, ha proposto in data 30 gennaio 2009 un primo progetto di decreto.
In questo testo è prevista la modifica dei meccanismi di formazione e reclutamento del personale accademico oltre che dello stato giuridico dei docenti attraverso: la rimozione dell’anno di praticantato retribuito, l’introduzione di un’ulteriore valutazione annuale nell’arco di quattro anni dell’attività scientifica e didattica degli universitari; l’autonomia universitaria, e quindi il potere ai rettori delle università di decidere, in base a tale valutazione, promozioni e modulazione dei tempi e modi di servizio del proprio personale.
“Pubblicare o perire” ci fa notare Alexandre Dupeyrix, filosofo e germanista presso la Sorbona. “Politica semplice e grossolana, in cui tutto è messo in concorrenza. Tutto deve avere un’utilità, ma agli occhi di chi? Chi stabilisce i criteri di performance? Di fronte a questa ideologia utilitarista chi sarà considerato utile e chi parassita? Il greco antico a cosa serve? E il francese medievale potrà riempire lo Stade de France?”
Queste alcune delle perplessità di un mondo accademico la cui reazione non si è fatta attendere. Il Coordinamento Nazionale delle Università riunitosi alla Sorbona il 2 febbraio, ha integralmente rigettato il progetto di riforma. Le tre mozioni, votate dai 313 delegati provenienti da tutta la Francia, accusano le politiche autoritarie dell’attuale governo di voler smantellare l’insegnamento pubblico per asservire il mondo scientifico ai poteri politici, in particolare attraverso la soppressione di 1090 posti di lavoro, ed all’estensione del precariato tra insegnanti, ricercatori, personale tecnico-amministrativo e di bibblioteca.
“Il Coordinamento Nazionale constata che queste controriforme risultano dalla legge LRU. Di conseguenza, richiede che la comunità universitaria ed il mondo della ricerca siano consultate d’urgenza per una nuova legge che garantisca democrazia, collegialità, indipendenza e libertà, poichè l’Università non è un’impresa e il Sapere non è una merce”. In particolare l’introduzione di nuove verifiche, oltre a quelle già esistenti, non sarebbe un incentivo alla produzione scientifica, al contrario servirebbe solo a colpire l’autonomia dei docenti asservendoli al potere sempre più assoluto e discrezionale dei rettori.
“Conferire una tale autonomia ai rettori” scrive sulle pagine di Le Monde Jean-François Bayart, africanista al CNRS “significa dotarli di poteri discrezionali in materia di reclutamento, remunerazione, valutazione e definizione dei servizi del loro personale. Questo è ciò che rifiutiamo: l’asservimento della nostra professione alle logiche neoliberali. La resistenza di ricercatori e studenti universitari non è corporativista. Difende la libertà della scienza, importante quanto quella di stampa e giustizia.”
Università e ricerca dunque si arrestano in Francia fino al definitivo ritiro della riforma, 72 atenei su 85 sono in rivolta da più di due settimane. E’ un’onda che ha visto giovani dottorandi, ricercatori e docenti fianco a fianco a studenti e personale tecnico-amministrativo in parata per la capitale il 29 gennaio ed il 10 e 19 febbraio.
“Lottiamo perchè cultura e insegnamento non spariscano”. Lo sguardo di Emmanuelle è fermo mentre pronuncia queste parole. E’ una giovane ricercatrice, accanto a lei studenti e colleghi portano lo striscione “Università in lotta contro la fine del servizio pubblico” fin dinnanzi all’imponente schieramento di forze di polizia, posto a ogni sbocco dell’intersezione di Sèvres-Babylone.
Il Ministero degli Interni non lascia nulla al caso, non a Parigi capitale e vetrina europea. Così, mentre la folla dei manifestanti va disperdendosi pacificamente, ed alcuni si attardano a cantare slogan di fronte agli impassibili agenti in assetto antisommossa, un altro esercito si fa strada alle spalle del corteo. E’ quello in uniforme verde degli operatori ecologici, pronti a cancellare la minima traccia del passaggio del corteo. “Oggi è andata” dice Arnaud, studente della Sorbona, “ma la protesta non si arresta, fino al completo ritiro della riforma”. La mobilitazione resta infatti nel vivo, ed altre tre giornate di protesta nazionale sono previste per il 26 febbraio ed il 5, 10 marzo.