Lo Statuto per rivoluzionare la Sicilia

La volontà del Presidente della Regione, Rosario Crocetta, di applicare radicalmente e unilateralmente l’articolo 37 dello Statuto Siciliano capovolge la vecchia logica gattopardesca del cambiare tutto per non cambiare nulla e segna un momento di discontinuità nella storia del complicato rapporto tra la Regione siciliana e lo Stato italiano. Si tratta dunque di un’azione epocale e rivoluzionaria che rompe con il passato.

Il popolo siciliano è stato vittima di numerosi crimini finanziari commessi dal Regno prima e dalla Repubblica poi. Nel 1865 la vendita dei beni ecclesiastici in Sicilia fruttò allo Stato circa quattrocento milioni del tempo ma non una lira fu investita nell’isola; la tassa sul macinato non soltanto gravò sul reddito misero della popolazione meno abbiente ma colpì inesorabilmente l’agricoltura siciliana già penalizzata dal latifondismo assenteista ed egoista; nel 1947 non un dollaro dei finanziamenti del Piano Marshall fu utilizzato per la Sicilia, con il risultato che l’isola rimase esclusa dal piano di riedificazione e di ammodernamento delle infrastrutture mentre l’emigrazione siciliana forniva braccia ed energia a basso costo per ricostruire il nord.

Più tardi, con la Cassa del Mezzogiorno, si finanziarono le imprese del nord che venivano a impiantare nel territorio siciliano siti industriali che ben presto erano abbandonati lasciando nell’isola disastri ambientali e sociali con sacche di disoccupazione, improduttività e disperazione popolare (Termini docet). Il Governo regionale, insomma, trasforma una situazione storica. E non deve forse essere questo il compito di una classe dirigente politica?

Quando la politica è capace di pensare e agire per dare un destino ai popoli, per garantire il futuro alle nuove generazioni, per cambiare davvero e concretamente le condizioni del passato ispirandosi ai principi della giustizia sociale, dell’autodeterminazione dei popoli e del bene comune non deve essa avere il sostegno di tutte le forze sociali interessate? La scuola, l’università, l’imprenditoria, il movimento sindacale, la stampa, gli intellettuali, le istituzioni, la società civile siciliana, non dovrebbero alzare alta e forte la voce per affermare il sacrosanto diritto all’esistenza?

La politica di Rosario Crocetta non è antinordista, è filo-siciliana e dunque deve diventare la battaglia della società siciliana in tutte le sue espressioni e componenti. Il Mediterraneo è in crisi, il nord-Africa è in guerra, la Grecia e la Spagna sono sull’orlo della bancarotta sociale. La Sicilia è circondata. Deve reagire. Deve farlo adesso. Con forza. Le decisioni del Governo regionale hanno un valore che supera la politichetta sterile del cortile per guardare oltre la siepe. Questo governo va sostenuto dalle piazze e dai parlamenti, dai mass-media e dalle associazioni. Sono in gioco la libertà della Sicilia e la liberazione dei siciliani.
Questa meravigliosa società civile siciliana che ha dimostrato di sapersi battere contro la mafia, deve adesso battersi per rivoluzionare la Sicilia. Giova in proposito ricordare e recuperare anche la modifica del comma 2 dell’articolo 36 dello Statuto proposta da Michele Cimino, leader del movimento Voce Siciliana schierato con Rosario Crocetta, che consentirebbe di destinare le imposte di produzione nell’Isola alla Sicilia e non allo Stato bloccando così l’ulteriore sfruttamento di risorse siciliane, come ha evidenziato questo giornale in  recenti articoli (che trovate in allegato, ndr).

Lo Statuto Siciliano, insomma, non costituisce lo statico punto d’arrivo della tormentata ma esaltante storia della lotta siciliana per la libertà; esso rappresenta il dinamico punto d’origine di una nuova epoca di riscatto. Leonardo Sciascia definiva amaramente l’Autonomia siciliana un’occasione mancata; vi è in queste parole un’esortazione ad agire che la società civile siciliana deve saper cogliere nello stesso momento in cui la politica siciliana sembra essersi ridestata dal lungo sonno del servilismo.

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