Ventidue anni dallassassinio di Giuseppe Fava: il Teatro Stabile rende omaggio a quest'uomo con l'opera drammaturgica redatta dal figlio Claudio e raccolta nel volume pubblicato dalla Fondazione Fava. In scena dal 3 all'8 gennaio al Teatro A.Musco- 'A che serve vivere, se non c'e' il coraggio di lottare? di Rocco Rossitto
L’istruttoria. Gli atti del processo in morte di G. Fava
La verità è lunica sepoltura!…Solo la verità darà pace ai loro corpi e placherà i loro lamenti
Quale verità? Linchiesta il processo o ti serve solo la vendetta? Cosaltro occorre ancora per seppellirli?
Ricordare tutto. Tutto! Anche la viltà di chi ha taciuto
La Sicilia, terra fragile e crudele di Peppino Impastato, di Carlo Alberto Dalla Chiesa, dei giudici Falcone e Borsellino, solo per citare alcuni dei nomi più tragicamente noti. Ma anche di Giuseppe Fava. Tutte vittime di quella bestia che si insidia ovunque, che ti avvinghia come una piovra e da cui non hai più scampo. Che ti strozza per farti tacere per sempre.
Questo è quello che accadde il 5 gennaio del 1984, di fronte al teatro che, proprio quella sera di ventidue anni fa, ha assistito alla scena orribile e brutale del suo assassinio. Avvenne in quella strada, già via dello Stadio, che da qualche anno porta il suo nome. Quel teatro che oggi ricorda la sua morte con la rappresentazione de Listruttoria, per la regia di Ninni Bruschetta, scritta da Claudio Fava, erede del mestiere del padre. Quale luogo migliore per ridar vita a chi ha avuto stroncata la propria vita nellefferatezza di quegli anni ancora tanto attuali? Un uomo che non era solo giornalista coraggioso e scomodo per la grande criminalità, ma che si dedicava anche alla stesura di opere teatrali.
La rappresentazione degli atti del processo a seguito dellomicidio di Fava, fatta di battute da un lato piene di rabbia e di dolore e dallaltro vigliaccamente irriverenti ed infami, è alleggerita dalla presenza sul palco del gruppo Dounia, i cui intermezzi musicali dal sapore mediorientale, in alcuni momenti sostengono il ritmo tragico, scandito da percussioni, contrabbasso e chitarra, e sottolineano tutta la drammaticità della scena in una amalgama perfetta con il testo recitato.
A primo impatto, lunica osservazione da fare è la difficoltà riscontrata nel seguire passo dopo passo tutti i dialoghi ed i monologhi, sia che si conosca bene la storia ed i personaggi, sia che la si conosca poco. Sulla scena infatti sono presenti solo due interpreti che personificano ben undici personaggi differenti. Compito arduo ma svolto benissimo da due giovani e meritevoli attori siciliani Claudio Gioè e Donatella Finocchiaro.
La staticità della scenografia, semplice ma efficace, arricchita da fasci di luce alternati bianchi e rossi, freddi e caldi, sembrava fosse consona alla fermezza ed alla staticità mentale di quanti si contrapponevano in modo ostinato al lavoro del battagliero Fava, come la contraddittorietà delle affermazioni e delle convinzioni delleditore Ciancio e del suo obbediente e fido Tony Zermo, la freddezza della dichiarazione di Maurizio Avola, esecutore del delitto, e di Italia Amato, amica e complice del boss Santapaola di fronte ad un giudice immaginario sulla scena. Tutto di riflesso contrapposto a quel movimento emozionante, toccante e profondo degli ipotetici narratori, una donna e un uomo, e della testimonianza finale di Riccardo Orioles. Come non osservare in silenzio, una volta spenti i riflettori del palco, quelle lacrime. Le lacrime di Elena Fava, commossa ed immersa nella dolorosa memoria di suo padre scomparso.
Chissà come sarebbe stato il mondo editoriale siciliano – e non solo quello – se ci fosse ancora lui a lottare
Forse sarebbe così: “Io ho un concetto etico di giornalismo. Un giornalismo fatto di verità, impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, sollecita la costante attuazione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo si fa carico di vite umane. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori che avrebbe potuto evitare, le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze, che non è stato capace di combattere”. (da un editoriale del Giornale del Sud – 1981)