L’inno di Mameli a scuola: Stato sovietico o massone?

Hanno ridotto gli italiani in mutande. Ora  vogliono privarli pure delle loro identità territoriali. A, Roma, infatti, invece di occuparsi delle emergenze che hanno messo in ginocchio il Paese, non hanno trovato  di meglio da fare  se non approvare l’obbligatorietà dello studio dell’inno di Mameli nelle scuole.

Il capolavoro è passato oggi al vaglio del Senato della Repubblica. Arriva anche  l’istituzione di una nuova festività per  “ricordare e promuovere” nella giornata del 17 marzo, data della proclamazione nel 1861 a Torino dell’unità d’Italia, “i valori di cittadinanza, fondamento di una positiva convivenza civile, nonché di riaffermare e consolidare l’identità nazionale attraverso il ricordo e la memoria civica”.

Il Senato italiano, insomma, oltre a tentare (inutilmente) di soffocare le culture regionali con un provvedimento ridicolo, ha deciso di continuare a mentire. Di continuare a soffocare la verità storica sull’Unità, che grazie agli storiografi revisionisti,  sta emergendo con forza.

Forte la reazione della Lega Nord. Vergognose le dichiarazoni di compiacimento dei senatori siciliani, sempre proni. 

“Assurdo  l’obbligo di inculcare nei giovani il mito di una patria che esiste solo nelle stragi di stato, nelle guerre fratricide, nel malaffare della politica, da Giolitti ai giorni nostri’ ha detto  il parlamentare leghista Massimo Bitonci “siamo arrivati all’educazione di stato, come in Unione Sovietica.

Nelle scuole italiane non si spende una parola per raccontare cos’e’ stato il plebiscito truffa del 1866, voto palese, risultato bulgaro, 647.426 si’, 69 no o per ricordare che la Serenissima Repubblica e’ stata la prima ad abolire la schiavitu’ e a permettere ad una donna, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, di frequentare l’universita’ e laurearsi’.

E non si spende una parola per raccontare cosa è stata veramente l‘Unità d’Italia per il Sud, aggiungiamo noi. Cosa ben più grave. 

“Per costruire un’Europa dei popoli e delle regioni, che sia forte e coesa, occorre dare spazio alla cultura dei popoli stessi, dimenticando la retorica risorgimentale, che ha portato solo guerre, in Europa e nel mondo’ ha chiosato il leghista. 

Ed ha ragione. Ci dispiace non potere quotare un senatore meridionale. Ma, come detto, al momento non ci risultano dichiarazioni che vadano al di là della farsa risorgimentale e della retorica lecchina.

Contrari pure i presidi: “Non c’era necessita’ a mio avviso di farne oggetto di un intervento legislativo” ha commentato il presidente dell’associazione nazionale presidi Giorgio Rembado, secondo cui il Senato non aveva motivo di entrare in contenuti così dettagliati dell’insegnamento: non e’ questa una competenza istituzionale del nostro Parlamento”.

Siamo dinnanzi ad una presa per i fondelli. Ha ragione Bitonci quando dice che si tratta di un provvedimento degno  della vecchia Urss. Opuure, si potrebbe definire come un provvedimento degno della peggiore massoneria finanziaria europea. La stessa che da Francoforte e Bruxelles,  sta tentando di dstruggere le autonomie regionali (per gestirne meglio gli asset economici) contro gli tessi principi istitutivi dell’Ue.

D’altronde lo stesso inno è nato da penna massonica. Ce lo ha raccontato il nostro collaboratore, esperto di storia risorgimentale (quella vera) Ignazio Coppola:

” L’inno di Mameli non è mai stato l’inno ufficiale della Repubblica italiana, bensì un inno ufficioso o, per meglio dire, “precario” come del resto lo è la maggior parte di tutto ciò che avviene in questo nostro Paese.

A ben vedere, per quanto infatti diremo, il “precario” e ufficioso inno di Mameli si può definire a buon diritto l’inno che la massoneria impose alle nascente Repubblica italiana nel lontano 1946 in sostituzione della “marcia reale” che aveva caratterizzato il precedente periodo monarco-fascista.

Vi siete mai chiesti – continua Coppola- perché il nostro inno nazionale inizia con la parola “fratelli”? E, su questo, vi siete mai dati una risposta? “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta” sono infatti le prime parole dell’inno di Mameli. Un inno di chiara connotazione massonica musicato da Michele Novaro e scritto, nell’autunno del 1847, dal “fratello” Goffredo Mameli (al quale, a riprova della sua appartenenza e devozione ai liberi muratori, sarà poi dedicata a futura memoria una loggia) che, non a caso e da buon “framassone”, lo fa iniziare con la sintomatica e significativa parola “fratelli”.

Un inno scritto dal “fratello” Goffredo Mameli nel 1848 e riproposto un secolo dopo, il 12 ottobre 1946, da un altro “fratello”, il ministro delle guerra dell’allora governo De Gasperi, il repubblicano Cipriano Facchinetti, da sempre ai vertice della massoneria con la carica di Primo sorvegliante nel Consiglio dell’Ordine del Grande Oriente d’Italia e affiliato alla loggia “Eugenio Chiesa””. Fu in quella data – ottobre del 1946 – che Facchinetti, quale ministro della guerra, impose che l’inno fosse suonato in occasione del giuramento delle Forze Armate. Da quel momento “Fratelli d’Italia” divenne, come lo è tuttora, ‘de facto’, l’inno ufficioso della Repubblica italiana.

Inno ufficioso e provvisorio- sottolinea lo studioso-  perché mai “de iure” istituzionalizzato con alcun decreto e, ancor di più , perché non contemplato dalla nostra Carta costituzionale come lo è – sancito dall’articolo 12 della stessa Costituzione – l’istituzione del tricolore come bandiera nazionale. Un inno che rimane, pertanto, per le cose dette, ancora ad oggi, privo di ogni ruolo e di ogni qualsivoglia definizione istituzionale.

Da quanto argomentato si può altresì facilmente desumere che l’inno degli italiani fu un inno, nella sua lunga gestazione, fortemente voluto dai massoni che tanta parte, come sappiamo, ebbero nelle vicende che portarono ad una mal digerita Unità d’Italia.

Fu immediatamente dopo l’Unità d’Italia che il Sud si “ destò” e si accorse, sulla propria pelle e a proprie spese, di che pasta erano fatti i “fratelli” che erano venuti a “liberarlo”. E forse proprio nel ricordo di tutto questo, di una mal digerita Unità d’Italia- chiosa Coppola- che ancor più si appalesa a danno dei meridionali, sempre più ricorrenti, negli ultimi tempi, piovono i fischi sull’ufficioso e “precario” inno nazionale“.

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