L’ingegnere etneo appassionato della ciaramella «Così rivive il ricordo d’infanzia del vero Natale»

Una melodia natalizia «fiabesca» che riporta a un’infanzia fatta di tradizioni e presepi. Un suono talmente particolare da affascinare anche il maestro compositore Vincenzo Bellini. È la ciaramella, antico strumento musicale a fiato – noto anche come zampogna siciliana – che ha il suo feudo a Maletto, piccolo Comune di montagna alle pendici dell’Etna. Storica protagonista del periodo natalizio ma ormai quasi scomparsa dalla strade di Catania, resiste in alcuni appassionati. Come l’ingegnere etneo Venero Torrisi, 50enne, istruttore di guida sicura alla scuola federale di Modena, che si è appassionato così tanto a questo raro strumento da riuscire a comprarne uno. Da allora, Torrisi suona ogni anno la sua ciaramella, ma con un vincolo: «Ho promesso che l’avrei suonata soltanto davanti al presepe, come si faceva una volta, e non per motivi economici – spiega a MeridioNews – Lo faccio a casa mia e in quella dei miei genitori, ma anche per i ragazzi della chiesa in cui faccio il catechista».

Per capire il valore di questa promessa bisogna andare indietro nel tempo. E spiegare perché i malettesi suonano la ciaramella tramandando quest’arte di padre in figlio. «Quando ero piccolo, a inizio dicembre, veniva in casa nostra il signor Santisi, un suonatore proveniente da Maletto che allietava il nostro Natale fino alla vigilia con il suono di questo strumento», ricorda Torrisi. La tradizionale novena. A fare da corredo c’era anche un abito tipico, composto da un lungo mantello di lana di pecora, il copricapo chiamato birrittu e le scarpe ricavate dalla pelle di cuoio. «A Catania i ciaramellai alloggiavano in posti di fortuna e si trattenevano per una decina di giorni – continua l’ingegnere – Riuscivano a guadagnare abbastanza arrivando fino a cinquanta suonate quotidiane. Scendevano dai treni della ferrovia Circumetnea e spesso ci raccontavano anche aneddoti curiosi che avvenivano nelle loro zone».

Le cose cambiano all’inizio degli anni ’90 quando i ciaramellai di Maletto risentono della crisi economica e delle tradizioni che vengono spazzate via dalla modernità. «Quando insomma l’albero con le lucine e Babbo natale prendono sempre più il posto del presepe», spiega Torrisi. Eppure l’usanza della ciaramella continua a viaggiare insieme con i malettesi. «Il portiere dello stabile in cui vivo, Ciccio Russo, anche lui di Maletto, sapeva suonare questo strumento ma non come il ciaramellaio della mia infanzia, Santisi – ricorda l’ingegnere – Così un anno mi mandò un suo compaesano, il signor Calì». Ed è stato proprio quest’ultimo a procurare a Torrisi la tanto desiderata ciaramella. «All’inizio era diffidente perché, come molti ciaramellai, temeva che chi si avvicinava a questo strumento potesse soffiargli il lavoro». Un impegno duro e sempre più raro, anche per i costosi spostamenti fino a Catania. «Pur di sentire quel suono a dicembre, per qualche anno ho ospitato il signor Calì – racconta Torrisi – Gli offrivo vitto e alloggio e lui, per ringraziarmi, il terzo anno mi ha procurato la ciaramella». Che l’ingegnere ha comunque comprato, come tiene a sottolineare.

Il professionista inizia così a imparare a suonare lo strumento che gli ricorda l’infanzia. Una prova dopo l’altra, «ho appreso da autodidatta, senza nessun tipo di aiuto», spiega. E il legame tra Torrisi e la zampogna siciliana sembra tornare anche quando non è lui a cercarlo. «Nel mio studio è arrivato come tirocinante un ragazzo, Raffaele Caserta – racconta – Solo dopo ho scoperto che il padre, Antonio, è il maestro ciaramellaio di Maletto». Intanto il tempo è passato e Torrisi continua a suonare e a tenere fede alla sua promessa. Con un’emozione diversa quando il suo pubblico è composto da giovanissimi. «Quando suono, i bambini possono riallacciarsi all’ambiente che vivevamo noi durante l’infanzia – conclude – Restano sempre attratti da quel suono così fiabesco».

Dario De Luca

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