Studentesse e studenti del liceo Majorana a Catania con Trame di quartiere

«Racconto solo Catania ai catanesi, come un cantastorie, come Shahrazād che narrando ha salvato la vita a se stessa, al principe che non conosceva l’amore, alle donne che sole credono nel potere della parola, a quanti amano ascoltare e farsi cullare dal canto della notte e della natura». Di tal genere, se non tali appunto, le parole di Abdulla. È stato questo, ma anche tanto altro, la mattina di sabato 29 aprile 2023 nel cuore di Catania. Una teoria di ragazze con la hijab (di fattura cinese o forse occidentale o magrebina?) e di ragazzi della generazione Z da piazza Cutelli si insinua nel vecchio suq catanese, un po’ San Berillo, un po’ Civita, per ammirare, a calzettoni multicolor, gli arabeschi della Moschea di Omar, la Moschea della Misericordia.

Poi, oltrepassando il chiaroscuro piazza-vicoli, da open air anti sismici a strettoie definite da dimore che ancora tradiscono antichi fasti e da residui di officine laboriose ora unico tetto a riparo per chi solo questo può avere, si fermano davanti alla chiesa del SS. Crocifisso della Buona morte che in un reciproco abbraccio, quasi a raccontarne la indefessa opera di soccorso e accoglienza, si accompagna alla Chiesa ortodossa rumena di piazza Falcone mentre un viale di fiori rosa spennella di primavera il cielo accogliente di un sabato mattina.

È vero, in settimana corta non si va a scuola, ma ci si alza molto volentieri presto e si fa σχολή. Poi alziamo lo sguardo su, sempre più in altro, verso il sacco di Catania, lo sventramento di San Berillo e la deportazione dei suoi artigiani, pescatori, commercianti. I palazzoni della finanza, del mondo che conta e che fa girare l’economia, gli esiti del brutalismo che scherma e chiude lo sguardo al mare dei vicoli ancora vivi di una umanità che è quella di sempre, quella  triestina della Città vecchia di  Saba o  quella degli angiporti genovesi di De Andrè dove s’agita in esse, come in me, il Signore.

Ma il inostro Colapesce veglia sempre su di noi: fortuna non si sia ancora stancato di sostenere la terza colonna senza la quale andremmo davvero a picco negli abissi del Mediterraneo, urna sacrario e culla di tanta insensatezza. E di trama in trama verso la caffetteria dove l’accoglienza araba si confonde con l’ospitalità mediterranea e la filastrocca yalilu yalil è la nostra tarantella. Sì, siamo un melting pot. Siamo i figli del padre Romolo che, come narra Livio, volle che ogni popolo travasasse nel mundus della Roma nascente una zolla della propria terra.


Dalla stessa categoria

I più letti

Giustizia per Emanuele Scieri

«Ricordate che in tutti i tempi ci sono stati tiranni e assassini e che, per un certo periodo, sono sembrati invincibili, ma alla fine, cadono sempre, sempre». È da un aforisma del mahatma Gandhi che ha preso spunto l’avvocata Alessandra Furnari nella sua discussione durante il processo per l’omicidio volontario aggravato di Emanuele Scieri, il parà siracusano 26enne in servizio militare trovato cadavere nell’agosto del 1999 […]

«Una macchina di imbrogli e di sotterfugi manzoniana che si è sviluppata sull’esigenza di un costrutto che doveva raccontare un’altra versione dei fatti». Così il procuratore di Pisa Alessandro Crini ha definito la ricostruzione da parte dell’esercito di quanto accaduto all’interno della caserma Gamerra nell’agosto del 1999 nel corso della sua requisitoria a cui è […]

Catania archeologica, l`occasione mancata

In una nota protocollata al Comune etneo a metà gennaio l'associazione di piazza Federico di Svevia chiede di gestire il bene del XII secolo, abbandonato, per garantirne «a titolo gratuito e senza scopo di lucro, la fruibilità». Adesso interrotta dal cambio del lucchetto del cancello da cui vi si accede e dalle divergenze con uno degli abitanti, che risponde: «C'era il rischio per la pubblica incolumità»

I processi a Raffaele Lombardo