Resilienza, sport e periferia. Il racconto cinematografico breve dei fratelli Fabrizio e Bruno Urso porta sullo schermo la determinazione dei volontari e la gioia di vivere dei giovani rugbisti. Dagli esordi, all’incendio dello scorso anno, fino a oggi
Librino, cortometraggio sulla rinascita dei Briganti «L’incendio alla Club house? Come un placcaggio»
Briganti. Si intitola così il cortometraggio girato a Librino alla fine del 2018 da Fabrizio e Bruno Urso e dedicato all’omonima squadra di rugby. Opera resa possibile da un finanziamento del ministero dei Beni culturali ottenuto partecipando al bando per il cinema delle periferie. Un documentario che ne racconta le origini nel 2013, l’incendio doloso che distrusse tutto nel 2018 e la ricostruzione. «Una storia di periferia, di sport ma anche di rinascita», la definisce il regista Fabrizio Urso.
Briganti. Un titolo semplice, che si limita a riproporre il nome della squadra dei giovani rugbisti, senza escludere le donne: le brigantesse. «Che hanno la stessa voglia di giocare e allenarsi dei ragazzi, dimostrando che il rugby non è né uno sport violento né per soli uomini», racconta Urso, confessando a MeridioNews di sentire che quel finanziamento ha il valore di un premio. «Noi stessi abbiamo scoperto l’esistenza di un vivaio davvero inclusivo, diventato un punto di riferimento per i ragazzi, che si recano al campo con gioia». Il documentario supera ogni pregiudizio, descrivendo gesti che spesso sembrano irruenti come forme di pura solidarietà sportiva. Basti pensare al placcaggio, raccontato nel docufilm come quel momento in cui «se cadi, dietro c’è il tuo compagno che ti prende». Prosegue il regista: «Volevamo raccontare una storia di periferia in modo semplice, senza sovrastruttura, ma anche il valore dello sport, che ha una funzione educativa importante, tanto da rivelarsi una scuola di vita, un centro di allegria e di riferimento, che abbiamo toccato con mano».
Quindici i minuti per raccontare tutto: dalla morte del giovanissimo Giuseppe Cunsolo in un incidente automobilistico dalla dinamica poco chiara nel 2012 – che scatenò la spinta aggregativa a Librino – fino all’incendio doloso appiccato alla Club house e alla Librineria il 10 gennaio 2018. «Non c’è più niente», si dicevano i ragazzi tra loro per avvisarsi dell’accaduto, con un passaparola angosciante che ha richiesto una reazione immediata. Un lutto urbano da metabolizzare subito con la ricostruzione. «Non dovevamo farci distruggere da questo placcaggio, ma quella tristezza ce la siamo portati dietro per un po’ di tempo», confessa un giovane rugbista nel corto, mostrando umanamente la propria fragilità.
Una sfida nella sfida, già posta dal quartiere di periferia: perché come si era deciso nel 2013 bisognava giocare a Librino, allenarsi a Librino, essere presenti a Librino. Per non tornare a vivere in quel posto dove «se fai male non paghi e se fai bene non se ne accorge nessuno». «Tutto poteva finire e invece è stato ricostruito ancora più grande», commenta Urso. «L’incendio che doveva distruggere la Club house le ha dato una nuova linfa».
Una storia di resilienza che i registi avrebbero voluto approfondire: «Avremmo voluto scendere più a fondo sulle storie personali dei ragazzi, sulle loro vite, sull’associazione e su come lo sport li aiuti e li cambi, ma eravamo vincolati dalla tempistica prestabilita dal bando ministeriale. Sebbene si trattasse di un documentario, dovevamo realizzare comunque un cortometraggio». Nessuna paura di ripetersi, invece, nonostante i rugbisti di Librino siano stati altre volte oggetto di attenzione cinematografica. «Il rischio di ripetersi c’è su tutto, però penso che ognuno si approcci al tema con il proprio punto di vista, un’idea precisa e una sensibilità diversa: è questo che rende i lavori differenti».