In un magazzino di via Ammiraglio Persano, che era gestito dal boss Tommaso Cannella, la Millecolori onlus dal febbraio 2013 è diventata il punto di riferimento per le donne vittime di violenza. Grazie a una equipe di educatori, psicologi e psicoterapeuti che lavora per contrastare fenomeni come bullismo e dispersione scolastica
Lia Pipitone, un centro antiviolenza in sua memoria «Così rinasce un bene confiscato e abbandonato»
Entrando nei locali del Centro Lia Pipitone, a pochi metri da via Montepellegrino, il primo dettaglio a essere notato è doppio, si tratta di due foto. Ritraggono questa ragazza dal sorriso contagioso che esprime la voglia di libertà da un sistema, quello mafioso, che negli anni le era stato imposto dal padre – il boss dell’Acquasanta Antonino Pipitone – e che le è costata la vita il 23 settembre 1983.
Il Centro di prevenzione, ascolto e antiviolenza che porta il suo nome sorge in un bene confiscato al boss Tommaso Cannella. Dal 2 febbraio del 2013 il magazzino di 140 metri quadrati, concesso in comodato d’uso dal Comune di Palermo, è diventato il punto di riferimento di donne e bambini del quartiere.
La struttura è la sede operativa dell’associazione Millecolori onlus, guidata dal presidente Lidia Ligotti, che dal 2010 insieme a diversi assistenti sociali e psicologi ha iniziato a operare nella zona. Soprattutto all’interno delle scuole, dove il bullismo e la dispersione scolastica sono la punta di un iceberg. Da qui l’esigenza di inserirsi ancor di più nel territorio, partecipando a un bando che ha portato alla concessione del magazzino a pianterreno di via Ammiraglio Persano.
«Un immobile abbandonato da 30 anni – racconta Adriana Argento, responsabile del Centro Lia Pipitone – e che abbiamo trovato in condizioni pessime. Ma questo non ci ha scoraggiato. Abbiamo via via affrontato come associazione tutti i lavori, cercando di creare un ambiente confortevole. Di grande aiuto e per noi un’emozione, il supporto e la vicinanza di Alessio Cordaro, figlio di Lia Pipitone, che è rimasto entusiasta non solo dell’intitolazione del Centro alla sua mamma ma anche dei nostri progetti. Qualunque donna che viene a trovarci deve sentirsi a proprio agio, appositamente non abbiamo messo alcuna foto o quadro che potesse ritrarre scene violente o raccapriccianti ».
Basta un colpo d’occhio per capire come i colori, e gli oggetti più semplici (dai tavoli alle mensole con i giochi, dal calcio balilla a libri e computer) rappresentano il frutto di un lavoro ricercato e quotidiano. Svolto con entusiasmo da un’equipe formata da dodici professionisti, tra questi: avvocati civilisti e penalisti che si occupano della consulenza legale (fornita due volte al mese il lunedì pomeriggio) e poi psicologi, psicoterapeuti , operatori sociali e educatori impegnati nelle varie attività.
«All’interno del centro – spiega ancora la responsabile – c’è uno sportello d’ascolto operativo il martedì dalle ore 9 alle 18 e il giovedì dalle ore 9 alle 13. Abbiamo l’atelier solidale, rivolto a donne che vogliono ritrovare una propria identità mettendo a frutto la loro creatività, e anche una biblioteca di quartiere dove poter studiare e ricevere un sostegno scolastico. Ma il nostro impegno verso la comunità non si ferma neanche nel periodo estivo. Infatti svolgiamo anche il tempo d’estate».
E alla domanda se nel corso degli anni il Centro abbia mai subito atti intimidatori, Adriana Argento risponde abbozzando un sorriso e con aria fiera e decisa esclama: «Posso dire che ormai tutte le persone ci conoscono e ci sostengono». In ogni caso l’ostacolo più grande, che accomuna coloro che hanno avuto in gestione un bene confiscato, riguarda il sostentamento economico. Come si fa ad andare avanti?
«Da quando abbiamo aperto ci sono stati di aiuto i diversi circoli palermitani che con le loro attività di raccolta fondi ci hanno consentito di sopperire alle diverse esigenze. Per non dimenticare l’importanza del 5 per mille e dei progetti ai quali cerchiamo di partecipare come centro antiviolenza. Infatti per quest’ultimo riconoscimento anche i nostri locali si sono dovuti adeguare: abbiamo creato due stanze apposite dove verranno effettuati i colloqui in totale privacy».
In attesa del processo che le dia il giusto riconoscimento di vittima di mafia, Lia Pipitone continua a vivere negli occhi e nel cuore di tutti coloro che in un modo o nell’altro varcano la soglia di un bene restituito alla collettività.