Non è andata giù agli avvocati del coordinamento dei comitati il giudizio di Gian Piero Scanu, presidente del gruppo di parlamentari negli ultimi giorni in visita alle basi militari siciliane. «Non ci sembra di aver sentito alcuna argomentazione che abbia un minimo valore giuridico o tecnico», replicano
Legali No Muos contro accuse commissione uranio «Ostili per pregiudizio? Abbiamo lasciato documenti»
«Abbiamo registrato una valutazione pregiudizialmente ostile, anche se sono state sviluppate molteplici osservazioni giuridiche interessanti». La frase che Gian Piero Scanu, presidente della commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito, ha pronunciato ieri in conferenza stampa alla fine della tre giorni di visita in Sicilia, non è andata giù ai legali del coordinamento regionale dei comitati No Muos. Tra i temi su cui il gruppo di deputati, che ha poteri d’indagine sull’inquinamento prodotto dalle basi militari, ha posto l’attenzione ci sono proprio le parabole di Niscemi. A tal proposito hanno sentito gli avvocati del movimento che si batte contro l’impianto satellitare; Giuseppe Verzera, il procuratore di Caltagirone, dove pende un processo penale (audizione che però non ha trovato spazio in conferenza stampa); e il presidente dell’Arpa Sicilia. Oltre alla visita della base statunitense.
Nella sintesi finale, davanti ai giornalisti riuniti a Catania, Scanu (Pd) ha bollato come «pregiudiziali» le argomentazioni dei legali No Muos. Gli aspetti che gli avvocati contestano sono due: oltre alla controversa questione dei campi elettromagnetici, c’è quella legata all’iter di realizzazione dell’impianto, per due volte sequestrato e dissequestrato. «Come legali – replicano Sebastiano Papandrea e Paola Ottaviano – abbiamo depositato documentazione e delle note con prospettazioni squisitamente giuridiche nelle quali specifichiamo e documentiamo i motivi per i quali riteniamo che il processo per abuso edilizio sia assolutamente fondato e per i quali valutiamo che sia stato erroneo il dissequestro dell’istallazione». I due avvocati hanno consegnato alla commissione una memoria di 15 pagine.
E tornando sui rischi per il possibile inquinamento delle onde aggiungono: «Abbiamo anche specificato, allegando delle note del gruppo di studio coordinato dal prof Massimo Zucchetti, per quale motivo riteniamo non condivisibili le conclusioni del collegio di verificazione nominato dal Cga che ha dichiarato nella norma le emissioni del Muos e delle antenne Nrtf già preesistenti e perché anche le più recenti misurazioni non siano attendibili e meritino attenzione». Un punto cruciale, quello della misurazione delle emissioni, su cui, proprio nei giorni della visita della commissione alla base Usa, si è aggiunto un nuovo tassello. «Al momento – ha spiegato Scanu – fuori dal perimetro del Muos ci sono le centraline di Arpa, successivamente sono stati sistemati quattro punti di controllo a cura degli Usa che sarebbero più efficaci. Le centraline italiane non sono all’altezza di quelle in dotazione agli americani. L’Arpa si deve impegnare a fare meglio». E per questo ha annunciato che chiederà al presidente Rosario Crocetta di aumentare la dotazione finanziaria all’Arpa.
Proprio su questo aspetto, i legali No Muos attaccano. «A meno che i seri elementi non siano le misurazioni fatte dagli stessi militari statunitensi e gentilmente fornite all’Arpas (sostanzialmente il controllato che fornisce i dati al controllore), non ci sembra di aver sentito alcuna argomentazione che abbia un minimo valore giuridico o tecnico. Quanto piuttosto, se le conclusioni della commissione sono quelle esposte in conferenza stampa, abbiamo il timore che si stia per porre un’ennesima foglia di fico su una vicenda che per la politica ed il Parlamento italiano dovrebbe essere considerata vergognosa».
Piuttosto, gli avvocati ricordano come proprio il Parlamento sia colpevole di un peccato originale rispetto alla realizzazione del Muos. «Le basi Usa di uso esclusivo, come quella che ospita il Muos – sottolineano – non sono previste da nessun accordo internazionale regolarmente approvato dal Parlamento ai sensi dell’articolo 80 della Costituzione. Il Parlamento, senza disconoscere la sussistenza del problema decise di voltare altrove il capo abdicando a proprie prerogative fondamentali in materia di politica internazionale».