A descrivere la titolare della nota libreria etnea è l'associazione che lì si riunisce una volta a settimana. Grazie alla disponibilità di Francesca, la cui bottega dà il nome al gruppo di femministe che oggi raccontano chi era. «Aveva sempre un grande sorriso e un'incredibile cura nel lavoro che svolgeva con passione»
Le Voltapagina ricordano libraia Francesca Amoroso Emma Baeri: «Ha aperto le porte a noi femministe»
«Subito! Lo cerco subito! Tranquilla, lo troviamo», e un grande sorriso: non c’era richiesta che non fosse già esaudita nel gesto rapido e sicuro del suo sguardo sugli scaffali, delle sue mani sulla tastiera. Questa è l’immagine di Francesca Amoroso, amica e libraia, indimenticabile. La sua probabile imminente scomparsa è stata fino a pochi giorni fa un annuncio vago, un pensiero molesto, incompatibile con quel sorriso vitale, accogliente.
L’ultima volta che l’ho vista, un paio di settimane fa, è stato per la presentazione di un libro. Sottile forse un po’ più del solito, elegante some sempre, indossava un abito nero del quale io apprezzai la bellezza e lei, ammiccando, la convenienza. «Sei proprio una ragazza», le dissi. «Sai dove l’ho preso? Lì trovo sempre cose belle e neanche care», mi rispose.
Cura è la prima parola che mi viene in mente pensando a lei, adesso che la sua scomparsa è una certezza: cura della sua persona, cura con cui governava la sua libreria, cura di un uso libero e generoso di quegli spazi, cura professionale delle vetrine sulla strada, cura di quelle interne dedicate alle amiche artigiane, i cui manufatti promuoveva generosamente e fantasiosamente, cura nell’allestimento di mostre che riusciva a contenere in quel piccolo spazio, e soprattutto, cura delle relazioni amicali e di vicinato. Quella parte della città, cieca ormai di lei dietro le sue vetrine, oggi mi sembra essersi oscurata fin quasi a scomparire. Cura e grande coraggio, pari alla sua passione di tutto.
Quando, nella primavera del 2011, un neonato gruppo femminista cercava un luogo per riprendere il filo di una riflessione interrotta negli anni ’80, la libreria Voltapagina – da sempre nata e gestita da donne – sembrò il luogo adatto, e Francesca ci accolse con il suo solito sorriso, entusiasta come sempre. Quando cercammo un nome per il gruppo fu quasi naturale chiamarci le Voltapagina.
Amava il suo mestiere Francesca, e giorno dopo giorno si impegnava a renderlo più attraente, con una fiducia testarda nelle infinite risorse racchiuse in una copertina o nel semplice sfogliare le prime pagine di un libro. Anche per questo si diceva orgogliosamente allieva e amica di Carmelo Volpe della storica libreria catanese La Cultura, nella quale molte generazioni sono entrate e uscite con certo guadagno di sapere e di simpatia. Da Carmelo, Francesca aveva appreso un modo antico e allo stesso tempo nuovo di fare e di essere libraio, libraia: ben oltre la vendita di un volume, sapevano entrambi che ogni libreria è una cerniera insostituibile allo snodo tra cultura e impegno civile, e che ogni libreria che chiude è un lutto per la città.
Non è trascorso molto tempo dalla morte di Volpe, e in quei giorni per lei difficili, Francesca mi raccontò un episodio che oggi mi appare una memoria preziosa. Mi disse con orgoglio che il suo maestro prima di morire aveva espresso un desiderio: che dentro la sua bara fosse messa a mo’ di viatico una copia di Il vecchio e il mare, e che il libro provenisse dalla libreria della sua allieva, la libreria Voltapagina. Così fu fatto.
Con fantasia laica mi piace pensare che adesso lo stiano rileggendo insieme, tra battute facete e grandi sorrisi, sempre.
Emma Baeri Parisi di Le Voltapagina