«Ritornare sul palco quest’estate non è stato facile. È stato come rincontrare l’amore della tua vita dopo tanti anni, rivederlo dopo una brutta litigata e non sapere come vestirti, come truccarti, come fare i capelli e che parole utilizzare. Io ho avuto ogni volta l’ansia da prestazione. Mi sono fatta molte domande. Sono ancora in grado? Ho perso l’abitudine? Cosa si aspetta il pubblico? È vero, tutti gli spettacoli estivi hanno fatto registrare una grande presenza, ma l’esame vero è adesso con l’avvio della stagione invernale che tutti aspettiamo con ansia». Così Giovanna Criscuolo descrive il suo ritorno, dopo mesi di lontananza, su quello che ogni attore considera il proprio habitat naturale: il palcoscenico. Vulcanica, solare, ironica. Difficile definirla con un sola parola. Una cosa è certa: quando Giovanna arriva, si sente e ti coinvolge con la sua energia e il suo spiccato e prepotente senso dell’umorismo.
Attrice, autrice teatrale, conduttrice radiofonica e scrittrice. Protagonista sul palco, in tv e al cinema. Giovanna, la tua carriera esattamente quando è iniziata?
«Casualmente, quando io avevo 16 anni, dopo il trasferimento della mia famiglia da Catania a Riposto. In quegli anni, insieme ad alcuni compagni di scuola, abbiamo messo su un gruppo teatrale. Tra i componenti c’erano anche il mio attuale marito e Marco Cavallaro. Al compimento del nostro diciottesimo anno di età io, Marco e Josè decidiamo di fondare un gruppo di cabaret chiamato 95014 (il cap di Giarre, ndr) ottenendo anche un discreto successo. Insieme siamo stati a Zelig, non in tv ma in teatro; abbiamo vinto il Festival del cabaret su Rai3 e partecipato a numerose manifestazioni in varie città italiane. Un giorno ci chiesero di aprire lo spettacolo di uno dei personaggi del momento che però io non conoscevo. Era Litterio e, quella sera, sia lui che il suo impresario di allora, Toni Musumeci, mi notarono e mi proposero di lavorare a teatro con loro. Io ho accettato e da lì è partito tutto».
Hai iniziato da ragazzina, insomma. La tua famiglia come l’ha presa?
«Ammetto che al principio è stato difficile perché ero sola. Mio padre non era molto d’accordo, perché per lui non era un vero lavoro e convincerlo del contrario non è stato facile. A volte, ancora oggi, per molti l’arte non è un mestiere e 30 anni fa questa convinzione era ancora più marcata».
Il tuo ingresso nel mondo dei professionisti è avvenuto grazie all’incontro con Enrico Guarneri. Insieme siete stati molte volte protagonisti a teatro, ma anche in tv. Quanto ha inciso tutto questo, in particolar modo l’esperienza nel piccolo schermo, nel tuo rapporto con il pubblico?
«Tantissimo. Non lavoro più con Enrico da 15 anni, ma per la gente è come se il tempo non fosse mai passato. Ancora oggi ricordano quei momenti. Noi entravamo a casa della gente ogni settimana e, nonostante lo schermo, tra noi e loro si creava una sorta di simbiosi. Il pubblico ci sentiva come parte integrante della loro famiglia. Poi ho avuto altre esperienze in tv, anche da sola, ma l’eco di quel periodo è stato ed è tuttora presente. Il rapporto con il pubblico per me è fondamentale».
A proposito del pubblico. Dalla tv alla radio, passando per il teatro, lo hai conosciuto in maniera trasversale. Quali sono secondo te le differenze?
«Al cinema, ma anche in tv, lo capisci dopo se il pubblico ha gradito o meno. A teatro, invece, lo capisci subito. Non appena si apre il sipario percepisci immediatamente lo stato d’animo, se gli spettatori sono predisposti o no. Alcune volte addirittura lo percepisci anche prima dell’inizio dello spettacolo, quando sei ancora dietro lo quinte. In radio, invece, è tutto diverso. La connessione con il pubblico è quasi contemporanea. I messaggi inviati dagli ascoltatori durante la diretta, ad esempio, te li fanno sentire vicini e reali anche se lontani fisicamente».
Sul palco, durante tutti questi anni, ti abbiamo vista protagonista dei grandi classici popolari siciliani, ma anche di commedie dal taglio più moderno e brillante e del varietà. Qual è il ruolo che senti più nelle tue corde?
«Difficile rispondere, io non ho un personaggio preferito. Sicuramente incide molto lo stato d’animo del momento, il periodo in cui ognuno di noi si trova. Quando sei rilassato e tranquillo, mettere in scena uno spettacolo comico, allegro o brillante ti aiuta nella resa; quando invece il momento non è dei migliori, senti più vicini ruoli drammatici o impegnativi».
È più difficile far ridere il pubblico o farlo commuovere?
«È complicato in egual misura. Vestire i panni di un personaggio comico è molto difficile, il rischio di ripetersi o di restare legati a un ruolo è molto forte. Per questo ogni anno provo a reinventarmi. La difficoltà maggiore di gestire un ruolo drammatico sta, invece, nel saper richiudere, alla fine dello spettacolo, i cassetti della memoria che ti legano a delle cose personali, ma che, a volte, devi necessariamente aprire».
Qual è lo spettacolo che porti nel cuore?
«In realtà sono due, uno del passato e uno molto recente. Il primo è Notte intera senza sonno, un testo scritto a quattro mani da Salvo Rinaudo e Marco Alessi che racconta la storia di Rosa Balistreri. Sono particolarmente legata a questo monologo per tanti motivi. Sicuramente il fatto di essere stata una delle prime a mettere in scena la vita di questa grande artista recitata e non soltanto letta e cantata, mi riempie d’orgoglio. Ho studiato molto per mettere su questo spettacolo e per evitare di imitarla. Volevo solamente renderle omaggio espero di esserci riuscita. L’altro è La foto del turista con Vincenzo Volo per la regia di Federico Magnano San Lio. Lo spettacolo l’ho scritto io, ma lo considero una nostra creatura. È un atto unico molto divertente, ma anche tenero».
Ultimamente ti sei scoperta anche scrittrice…
«A dire la verità la scoperta l’ha fatta il coautore di Rifrangenza, Filippo di Mauro, che conosco da parecchi anni. Un giorno, prima dello scoppio della pandemia, mi ha chiamata per chiedermi di collaborare con lui e da lì abbiamo iniziato. Il nostro lavoro è durato un anno. L’incontro con la casa editrice che ci ha pubblicati, Ali Ribelli, è avvenuto dopo, precisamente durante il lockdown, con una collaborazione come audio lettrice».
Che messaggio vuoi lanciare al tuo pubblico?
«Continuate ad amare il teatro come avete fatto finora, continuate a sostenerci e ad applaudirci. Mi rivolgo in particolar modo ai giovani, ai trentenni e ai quarantenni. Molti di loro non sono mai andati a teatro perché lo reputano noioso. Andate a vedere uno spettacolo, poi un altro e poi un altro ancora. Sono sicura che inizierete anche voi ad amare questo mondo magico».
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