Le scomode verità del Rettore

Problemi con le sedi decentrate, numero programmato in tutte le facoltà, ricercatori delusi, licenziamenti. La situazione dell’università italiana non è delle più rosee e Catania non fa eccezione. Ne abbiamo parlato durante la lunga intervista concessa dal rettore Antonino Recca alle redazioni di Radio Zammù e Step1. Moltissimi i temi trattati, mentre altri (per mancanza di tempo) sono rimasti fuori dalla porta dell’aula 24. A chi si fosse perso la diretta proponiamo una breve sintesi della chiacchierata con il Magnifico.


Il bilancio del 2009


Cominciamo con un breve bilancio di questo 2009, che possiamo definire “impegnativo”.

«Tutto è andato come – purtroppo – previsto: per la prima volta in tanti anni il finanziamento alle università decresce di 280milioni di euro. Si tratta di tagli che vanno ad aumentare anno per anno e che alla Conferenza dei Rettori abbiamo definito “non controllabili a regime”. La decurtazione colpisce la gestione quotidiana degli atenei perché, tenendo fermi gli stipendi che nella maggior parte delle università si approssimano al 90% della spesa, va a diminuire la voce per la gestione ordinaria. Nel 2008 il nostro Ateneo ha avuto per la gestione (a prescindere dagli stipendi) 29milioni di euro, nel 2009 17milioni e per il 2010 è prevista un’entrata di 3milioni e mezzo che dovrebbe aumentare a 5milioni e mezzo. Rientrando tra le università cosiddette “virtuose” contiamo di poter accedere agli ulteriori finanziamenti previsti con un emendamento alla finanziaria». 


Aquis

L’Università di Catania è stata ammessa all’interno di Aquis (l’Associazione per la qualità delle università italiane statali). Il nostro Ateneo è in grado di continuare a mantenere i requisiti per far parte dell’Associazione?
«Stiamo facendo di tutto perché si resti attraverso un progetto che prevede che Catania emerga rispetto ad altre università. C’è una fortissima competizione perché negli anni abbiamo attivato numerosissimi corsi che il sistema non è stato in grado di gestire». 


Decentramento


Il bilancio dell’Ateneo ha subito perdite milionarie a causa del deficit accumulato a causa del decentramento. Pressoché ogni settimana si sono avute nuove dichiarazioni contraddittorie sulla sorte delle sedi decentrate. Cosa accadrà a Ragusa e Siracusa?

«Non possiamo sopportare alcun ulteriore credito nelle sedi decentrate. Non ci possiamo permettere di rischiare di non pagare gli stipendi al nostro personale, come sta avvenendo in altri atenei. C’è una forte preoccupazione che nel 2010-11 non si attivi nessun primo anno a Ragusa e Siracusa. Dopo lunga discussione, anche con i consulenti del Ministro, siamo arrivati ad un accordo che prevede quasi quattro milioni di euro per due corsi quinquennali a Siracusa e Ragusa. Abbiamo mandato le bozze di convenzione, ma a tutt’oggi non c’è stata data risposta, oppure ne arrivano da singoli attori della politica locale». 

Immatricolazioni e numero programmato

Qual è stato l’andamento delle immatricolazioni di quest’anno?
«Quest’anno non abbiamo avuto diminuzioni di immatricolazioni, ma abbiamo avuto migrazioni di studenti. Il fatto che alcune facoltà abbiano previsto i test d’ingresso ha fatto sì che gli studenti abbiano deciso di andare in altre. Questo la dice lunga sulla mancata capacità che dimostriamo di non saper orientare bene i nostri allievi». 

L’anno prossimo verrà introdotto il numero programmato in tutte le facoltà. Quanti studenti in meno potrà accogliere l’Università di Catania?

«Una volta attuato il numero programmato in tutte le facoltà, Catania perderà circa il venti percento degli studenti al primo anno. Però, se siamo bravi, potremmo perdere quel venti percento di studenti che abbandonano entro i primi quattro mesi. Ci sta lavorando il gruppo per la didattica, coordinato dal Prof. Cozzo, attorniato da altri bravi colleghi e dai bravissimi studenti che fanno parte della Commissione paritetica d’Ateneo. Attuando le prove in giorni diversi, lo studente potrà partecipare a tutti i test delle dodici facoltà. Lo studente potrà immettere un ordine di preferenza per le facoltà, così come per i corsi di laurea all’interno della facoltà. Attraverso un meccanismo informatico, man mano che si chiudono le  diverse graduatorie, gli studenti vengono piazzati automaticamente in tutte le facoltà e nei corsi. Però una volta che lo studente va ad occupare il posto che gli tocca non potrà più muoversi. Per essere chiari: non potremo fare l’opzione. Non ci sarebbe più tempo di immettere in graduatoria i primi dei non ammessi».  


Programmazione delle specialistiche

Anche le specialistiche hanno introdotto il numero chiuso, ma il rischio di avere un eccesso di laureati triennali rispetto all’offerta della biennale è concreto. Cosa avete previsto per evitare situazioni del genere e migrazioni verso altri atenei? Non trova corretto che un laureato triennale debba trovare spazio anche nella specialistica successiva?
«È inaccettabile che uno studente che ha conseguito la laurea di primo livello a Catania non venga ammesso alla laurea specialistica perché non viene ritenuto idoneo, che è diverso dal fatto di non aver trovato il posto perché qualcuno più bravo di lui è andato ad occuparlo. Ciò è già avvenuto quest’anno, a Scienze Biologiche, e siamo corsi ai ripari, rifacendo il bando. Diventa inaccettabile che gli stessi docenti che hanno dato ad uno studente la laurea di primo livello poi non lo ritengano preparato. Se noi stessi, in alcune aree, auto-dichiariamo che i nostri allievi non sono in grado di partecipare alle specialistiche, così come è avvenuto, i nostri allievi troveranno il modo per andare nelle altre sedi. Questo avviene anche perché in tutte le facoltà abbiamo attivato le specialistiche non tenendo conto che dovevamo attivare dei meccanismi diversi, in particolare i curricula. La laurea specialistica deve essere quanto più aperta possibile, dobbiamo fare in modo che se si laureano 100 studenti al primo livello, almeno ottanta dovranno trovare posto al secondo livello». 


Precari e tagli alla ricerca


Che fine ha fatto la Commissione sul precariato presieduta dal prof. Bonomo? L’85% (dato provvisorio) dei precari non ha una buona opinione dell’Università di Catania. Il 97% non consiglierebbe questo Ateneo per fare ricerca. Non è un dato preoccupante? Se la sente di concordare con questi 85 precari su 100? 

«Nel periodo elettorale ho sempre detto che, per il successivo quadriennio, non potevamo andare aldilà dei 200 nuovi posti di ricercatori. Le nostre facoltà, i nostri dipartimenti sono pieni di precari. Io mi permetto di dire con molta fermezza che chi ha creato queste illusioni ha la massima responsabilità di averlo fatto; così come ha creato l’illusione, ha il dovere di portare con mano i propri allievi all’inserimento nel mondo del lavoro. A questo 85% di ricercatori precari scontenti dell’Università di Catania do la massima solidarietà, perché sono convinto che sono scontenti perché non hanno la possibilità di prevedere un futuro nell’università di Catania. Dobbiamo fare di tutto per aiutarli, non solidarietà a parole ma anche solidarietà nei fatti».

Come si è arrivati alla sofferta decisione di azzerare i fondi per la ricerca?  

«Probabilmente la cosa migliore da fare a Catania è quella di non dare un milione e mezzo solo per il cofinanziamento dei “bravi” o di quelli che riescono ad avere il Prin (Programmi di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale) ma, invece, un milione di euro a tutti subito, aumentando di circa il 20 percento il finanziamento che abbiamo appena dato, dicendo chiaro che questi soldi devono bastare per due anni. Mentre si potrebbe conservare l’altro mezzo milione per cofinanziare progetti che vengono dall’esterno, perché dobbiamo conservare un piccolo polmone che ci permetta di assistere i colleghi nel momento in cui vanno a prendere un finanziamento, per esempio, in Europa. Soldi per la ricerca  ce n’è pochi, siamo uno dei due unici atenei in Italia che investono soldi sulla ricerca: 1,5 milioni. L’altro Ateneo, Genova, ne mette uno. Stiamo resistendo in un momento di gravissima difficoltà».


Licenziamenti personale a contratto

Lettere e Lingue (solo per fare un esempio) dovranno licenziare parte dell’organico tecnico-amministrativo a contratto. Si stimano 25 licenziamenti soltanto ai Benedettini. Probabilmente la situazione è simile anche in altre facoltà. Nel suo programma però lei si proponeva di stabilizzare i precari. Cosa è accaduto?
«In alcune facoltà, in particolare Lettere e Lingue, i presidi non hanno i finanziamenti per rinnovare i co.co.co. Su questo abbiamo ritenuto di non intervenire, perché chi ha ritenuto negli anni passati (anche sforando i bilanci) di fare questo, oggi ha il dovere di risolvere tali drammi. Non abbiamo intenzione di licenziare nessuno, anzi stiamo cercando quanto più è possibile di portare i co.co.co, se ci sono le risorse, a tempo determinato. Stasera abbiamo approvato 20 bandi per tempo determinato che, chiaramente, sono aperti a tutti; ma sicuramente sono bandi dove i nostri consulenti parteciperanno e avranno grosse chance di vincere, se non altro perché hanno l’esperienza maggiore rispetto agli altri».

DdL Gelmini e Upress


Lei come giudica il DdL Gelmini?

«A mio parere più la rappresentanza del personale docente, del personale tecnico-amministrativa, degli studenti è numerosa in un organo di governo, più aumenta il potere del rettore. Quello che mi preoccupa maggiormente è, nel nostro territorio, l’ingresso degli esterni. Al nord “esterni” può significare aziende, industrie; nel nostro territorio è più difficile. Sono preoccupato che ci possa essere l’ingresso della politica, dei partiti. Faccio l’esempio dei consorzi universitari che sono – da questo punto di vista – un modello, a mio parere, poco virtuoso. Per quanto riguarda il Disegno di Legge in generale, come Crui l’abbiamo preso in considerazione durante l’evoluzione. Non ci possiamo più permettere un’università che viene denigrata, un’università che perde la fiducia dell’opinione pubblica, un’università che non si metta in discussione anche attraverso una legge che possa permettere, ad esempio, i commissariamenti degli atenei che non riescono a gestire l’autonomia con senso responsabilità, perché non ci può essere autonomia senza responsabilità. Quindi la scommessa qual è? Ognuno faccia il proprio ruolo».
 
La lunga chiacchierata con il prof. Recca termina con la promessa di sostegno all’associazione Upress: «Mi auguro che questa iniziativa di Upress sia finanziabile in modo consolidato. In questo l’Ateneo, seppur in un momento di difficoltà, parteciperà. Il problema è arrivare a risorse consolidate per permettere la vita della struttura per un tempo stabile».

«Continuiamo giornalmente il nostro lavoro, di professore, di Rettore e di studenti giornalisti» conclude il Rettore. «Non perdiamo di vista lo studente, non perdiamo di vista la mission del professore universitario».

Per ascoltare l’intera intervista


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